Abi: «Una banca d’investimento islamica è realizzabile»

Roma. «La finanza islamica è una grande opportunità per l’Italia nel complesso» considerati gli stretti rapporti economici con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo e del Golfo. È quanto ha sottolineato Raffaele Rinaldi, responsabile settore Crediti corporate dell’Abi, nel corso di una tavola rotonda per la presentazione del volume Banca e finanza islamica. Secondo Biagio Matranga, advisor di Banca Ubae, «bisogna incentivare la distribuzione in Italia di strumenti finanziari islamici come veicolo di integrazione delle comunità musulmane».
La realizzazione di istituzioni finanziarie improntate alla legge islamica (sharia) è complessa. Ad esempio, ha aggiunto Rinaldi, la costituzione di una banca retail può essere considerata solo nel lungo termine «per problemi regolamentari e di vigilanza». Una banca islamica, infatti, si basa su una governance duale nella quale al cda si accoppia un altro board che verifica la rispondenza tra decisioni prese e legge islamica.
Meno complicata la creazione di una banca d’investimento islamica, che permetta di raccogliere risparmio nei Paesi di fede musulmana con prodotti rispondenti alla sharia, utilizzandolo per finanziare imprese italiane. «Si tratta di un scenario fattibile - ha spiegato - perché non ci sarebbero grandi problemi di autorizzazione da parte di Bankitalia». L’investimento italiano potrebbe configurarsi attraverso una società di leasing giacché l’Islam vieta di prestare denaro a interesse ma riconosce un premio di rischio sui prestiti.
È inoltre ipotizzabile l’uso di strumenti finanziari occidentali assimilabili a quelli musulmani. Project financing e cartolarizzazioni hanno molte somiglianze con i sukuk, i bond islamici.

Esemplare il caso del Land Sassonia-Anhalt. La cartolarizzazione di immobili per 100 milioni di euro è stata tutta sottoscritta da investitori islamici perché il Land ha riaffittato i beni ceduti e il bond non pagava interessi ma il corrispettivo di un affitto.

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