Abi-sindacati sul ring con l’incognita pensioni

Il primo dicembre quando la squadra dell’Abi guidata da Francesco Micheli e i sindacati del credito calcheranno il ring di Palazzo Altieri per decidere il rinnovo del contratto di 340mila bancari, ci sarà una variabile in più di cui tenere conto: la riforma delle pensioni.
Il piano allo studio del governo Monti per elevare l’età minima pensionabile a 63 anni e cancellare quelle di anzianità, promette infatti di incidere sia sui tagli futuri di personale sia su quelli già concordati: secondo alcune stime l’impatto interesserebbe il15-20% dei prepensionamenti che l’industria creditizia si prepara a scaricare sul Fondo esuberi da poco riformato. Un’incognita in più per l’industria del credito, alle prese a fine settembre con sofferenze nette in crescita del 40% a 102 miliardi (per un netto di 53) per la difficoltà debitoria di famiglie imprese. Senza contare che solo i primi 5 gruppi quotati (Intesa, Unicredit, Mps, Ubi e Banco Popolare) totalizzano 55 miliardi di goodwill derivanti dalla compagna di espansione 2005-2008. Una «pressa» tanto pesante da mettere a repentaglio i dividendi, con conseguente allarme dei grandi azionisti, Fondazioni in testa. Chi ha già maturato i requisiti non subirà conseguenze, e la scorsa estate i sindacati hanno difeso con il coltello tra i denti la «volontarietà» di accesso al Fondo esuberi, che resta quindi il presupposto. L’ammortizzatore sociale del settore prevede però una permanenza massima di cinque anni. Alcuni lavoratori saranno in una posizione più vantaggiosa di altri, a seconda dell’età anagrafica e dell’anzianità contributiva.
Il primo banco di prova sarà il 24 novembre, quando Unicredit aprirà il confronto con i sindacati sui 3.500 esuberi aggiuntivi appena annunciati, ma potrebbero essere costretti a rifare i conti anche le concorrenti: Banco Popolare, Ubi, Monte Paschi e Bnl hanno piani industriali in scadenza tra quest’anno e il prossimo. Intesa ha concordato 8mila esuberi, di cui 3mila da ricollocare in mansioni più redditizie e 5mila da «congedare» dal gruppo, divisi sostanzialmente a metà tra pensionati e prepensionati.
Le banche hanno già inciso molto sul personale, ma per comprendere il contesto bisogna pensare che solo ieri la svizzera Ubs ha denunciato la possibilità di altri tagli, dopo i 2mila appena effettuati, se la crisi si avvitasse ulteriormente. In ogni caso per quanto riguarda il contratto nazionale i leader sindacali di Fabi (Lando Maria Sileoni), Fiba (Giuseppe Gallo), Uilca (Massimo Masi) e Fisac (Agostino Megale) non derogheranno dall’ottenere un aumento salariale in grado di compensare l’inflazione (7,4% nel triennio). L’Abi pretende però di vincolare tutto a una maggiore produttività e flessibilità della struttura, così da agevolare l’apertura il sabato e di consentire alle filiali di ricevere il pubblico fino all’ora di cena.
Con due ulteriori incognite.

Per prima cosa bisognerà vedere quanto peseranno sull’unità sindacale le macerie lasciate dalla Popolare di Milano che ha visto una lotta corpo a corpo tra l’esercito comune di Fabi-Fiba e quello di Fisac e Uilca. Dall’altra, in molti si chiedono se il neo superministro Corrado Passera finirà col chiedere a Micheli, suo uomo di fiducia dai tempi delle Poste, di seguirlo.

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