Abortisce, ma il feto nasce vivo

Dal Policlinico di Bari ora chiedono di abbassare il limite delle 24 settimane

da Bari

Hanno eseguito l’aborto, ma il feto è rimasto vivo: gli specialisti sono subito intervenuti, ma non hanno potuto far nulla per salvare il piccolo. È accaduto al Policlinico di Bari, da dove adesso parte la richiesta di abbassare da 24 a 22 settimane il limite massimo per l’aborto terapeutico.
Il caso si è verificato alcuni giorni fa nel più grande ospedale di Puglia, il secondo del Mezzogiorno. La madre del bambino aveva deciso di rinunciare al figlio dopo l’indicazione di uno psichiatra che le aveva sconsigliato il parto. L’intervento è stato effettuato dopo ventidue settimane e tre giorni di gestazione. Il feto è stato diviso dal cordone ombelicale: è nato vivo, ma «non era vitale», precisano dall’ospedale. Il corpo e gli organi interni non si erano sviluppati. I ginecologi e il medico neonatale sono subito intervenuti con tutte le terapie necessarie: lo hanno intubato, gli hanno somministrato i farmaci necessari, hanno fatto di tutto per salvarlo.
Ma è stato inutile. Il bambino non ce l’ha fatta, è morto poche ore dopo. E adesso, al Policlinico, a breve potrebbe costituirsi un comitato di medici per chiedere provvedimenti alla direzione sanitaria in modo che venga abbassato il limite delle 24 settimane. L’ipotesi è quella di un codice di autoregolamentazione. Intanto, proprio ieri l’assessorato regionale alla Sanità ha sospeso l’efficacia di una circolare interna della Asl di Bari che disponeva la fornitura della «pillola del giorno dopo» a consultori e ambulatori.

Quella circolare firmata il 6 marzo ha scatenato una serie di polemiche, spaccando anche i dirigenti della terza Asl più grande d’Italia, in quanto nel documento tra l’altro c’è scritto che «non è pensabile giustificare la mancata somministrazione con l’obiezione di coscienza essendo questa ultima riservata dalla legge 194/78 alle procedure direttamente legate all’intervento per la interruzione di gravidanza». \

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