Acea, aumenta l’indebitamento

Crescono i costi «fuori bilancio» e i mancati incassi delle bollette per l’enorme contenzioso

La semestrale al 30 giugno 2008 di Acea spa è catalogabile tra i «paradossi finanziari» che non corrispondono a servizi migliorati e facilmente fruibili dai clienti. C’è poco da stare allegri: la crescita del debito, oltre 1.682,3 milioni di euro (+338,9 milioni, rispetto al 30 giugno 2007) determinerà minori margini di manovra e un aumento della spesa per interessi. Il rapporto tra debito e capitale investito è salito dal 46,5 per cento del 2006 e dal 50,1 per cento del 2007, al 55 per cento di giugno 2008. «L’aumento dell’indebitamento finanziario netto - puntualizza Acea - è significativamente influenzato dal debito delle società Tirreno Power e Umbra Acque (162 milioni di euro, ndr)». Una dichiarazione che ridimensiona quanto esposto nel 2007 in merito ai risultati della società (De Benedetti, Acea, Verbung, Electrabel) che gestisce la centrale ex-Enel di Torre Valdaliga e conferma l’esposizione derivata dagli accordi con i clienti sulle bollette dell’acqua (esose e/o errate) di Umbria Acque. A ciò va aggiunto l’alto prezzo del petrolio, che determina maggiori oneri per la produzione d’energia e fenomeni di fermo delle centrali di AceaElectrabel per lunghi periodi, poiché la Spa romana preferisce approvvigionarsi alla Borsa Elettrica Nazionale invece di sfruttare il proprio parco centrali (troppo costoso). Sul fronte dei Sistemi idrici integrati i costi «fuori bilancio» ammontano a milioni di euro, non solo per gli interventi della magistratura (sequestri dei depuratori e delle condotte inquinanti). I riflessi sui rendimenti attesi sono evidenti, influenzati anche dai mancati incassi delle bollette. Le gestioni idriche hanno concorso alla formazione del margine operativo lordo di 294,1 milioni, con lo stesso valore percentuale del 2007 (39 per cento). Un dato sconvolgente se rapportato all’utile consolidato netto che rispetto a giugno 2007 è calato dell’11 per cento, da +17 a +6 per cento. D’altro canto l’Acea non ha ancora messo a punto l’anagrafe delle utenze idriche da cui derivano le mancate letture dei contatori e da cui dipendono le mancate fatturazioni trimestrali. Così l’azienda fattura a calcolo e spedisce cifre da pagare talmente esorbitanti (spesso illegittime) da far scattare la protesta di intere comunità pressoché in tutti gli Ato, ambiti territoriali ottimali, gestiti dalla local utility capitolina. A Roma, Frosinone, in Toscana, in Umbria e in Campania i contenziosi non si contano. Attacchi e denunce contro Acea aumentano per il proliferare dei disservizi che lasciano senz’acqua potabile i cittadini, causando danni all’immagine della Multiutility romana. Non è un caso che, dopo i finanziamenti assegnati dalla Regione Lazio, il 26 luglio scorso l’Ad Andrea Mangoni ha annunciato l’erogazione di un prestito Bei (Banca europea per gli investimenti) di 200 milioni per il settore idrico e fognario. Un paradosso. Si presentano dati finanziari con il segno più frutto di chissà quale diavoleria, e si nascondono le note e costose peripezie gestionali: l’incendio del contestato termovalorizzatore di San Vittore, la bocciatura regionale della Turbogas di Pontinia, le bollette pazze di luce e acqua, i black out a Roma, la debacle (costosa) della gestione dell’illuminazione pubblica a Napoli e le furiose contestazioni della controllata Giovi Spa che gestisce il servizio idrico integrato dell’Ato3-Campania.
La local utility romana viene ormai considerata un moloch immutabile, protetto dal 51 per cento delle azioni in mano pubblica e dallo strapotere degli «azionisti rilevanti» (Suez-Electrabel, Caltagirone, Schroeder Inv.

E Pictet Asset Management) che detengono il 25,5 per cento del capitale sociale. La speranza è che si cambi registro per calmierare i prezzi dei servizi essenziali, con progetti e soluzioni indirizzate sul miglioramento della qualità della vita dei cittadini e non sulla fantafinanza.

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