Acer: troppi grandi appalti nelle mani di pochi uomini

Cremonesi: senza le necessarie infrastrutture si paga un costo elevato sulla qualità della vita

Acer: troppi  grandi appalti nelle mani di pochi uomini

Giancarlo Cremonesi, presidente dei costruttori romani dell’Acer, il mondo dell’impresa, lamenta la concentrazione di grandi appalti nelle mani di pochi. Com’è finita, per dirne una, la vicenda del ricorso contro l'aggiudicazione a Romeo e Caltagirone del maxi-appalto da 600 milioni della grande viabilità del Comune di Roma?
«Un mese fa il Consiglio di Stato ha deliberato che neppure la società ricorrente, la Manital, aveva le carte in regola. E ha respinto il ricorso».
Quindi, caso chiuso?
«Di fatto, sì. Non si è entrati più nel merito».
Ma il sindaco Veltroni non aveva detto a Bologna che in Italia bisogna drasticamente limitare i maxi-appalti?
«Io credo che nonostante il 98 per cento delle imprese edili romane siano medie e piccole, bisogna far partecipare anche loro ai mega-lotti. Perché il sistema delle piccole e medie cooperative lo può fare per legge mentre al mondo delle imprese questo non è permesso?».
E quindi?
«Troviamo un’altra strada. Non ci sono solo i mega-lotti. Ci sono, ad esempio, le rifiniture delle stazioni della metropolitana, le opere accessorie dei sottoservizi. Nell’ultimo lotto della metro C c’erano 300 milioni di questi interventi, che potevano essere dati dal concessionario alle imprese private locali».
A proposito di stazioni, la fermata XXI Aprile della Metro B1, al contrario, è stata cancellata per non meglio precisate difficoltà tecniche...
«È dipeso dal prezzo di aggiudicazione dell'appalto, risultato troppo basso. Mi chiedo come può l’amministrazione fingere di non sapere che quel lavoro è sotto costo e poi meravigliarsi che, per non bloccare i cantieri per anni, serve una variante integrativa? Si mandassero in gara progetti cantierabili al prezzo giusto».
Un mese fa, in compenso, il Censis ha elencato una serie di infrastrutture che a Roma vedrebbero la luce in tempi rapidi...
«Credo che il Censis abbia peccato di ottimismo. La progettazione è in stato avanzato, è vero. Ma se non vogliamo scrivere il libro dei sogni, per molte di quelle opere non ci sono le risorse finanziarie. Solo il 18 per cento di investimenti privati in project financing...».
Come mai così poco?
«Come si fa a investire senza sapere se, quando e come verranno remunerati gli interventi? Ci vogliono soluzioni innovative. Il Comune, ad esempio, ceda ai privati che si occupano di infrastrutture e aree pubbliche destinate all'edilizia. Dopo 30-40 anni ne rientrerà in possesso, e intanto avrà realizzato le urbanizzazioni».
Se ne parla da anni.
«È vero, ma senza le necessarie infrastrutture si paga un costo elevatissimo sulla qualità della vita, senza contare che in futuro verranno sempre meno turisti».
Nella capitale i piani di edilizia pubblica sono bloccati. Per l'emergenza abitativa i privati quanto possono mettere sul piatto della bilancia nell'immediato?
«Cinquecento milioni, per cominciare. A Roma il fabbisogno è stimato in 50mila alloggi. Noi abbiamo firmato con il Comune un mese fa un protocollo per un piano straordinario di 20mila alloggi.

Metà da vendere a prezzo convenzionato e metà da affittare a basso canone per 15 anni. Ma il programma si regge solo se il Comune mette a disposizione aree a costo quasi zero, attraverso cambi di destinazione d’uso e vecchi piani di zona da completare».

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