Addio all’era di Yushchenko l’«eroe» che nessuno ama più

KievNico è una ragazza come ce ne sono molte a Kiev. Ha trent'anni, vive sola in un appartamento alla periferia della città e lavora per una compagnia straniera che ha deciso di investire in Ucraina. Quando riceve un nuovo ospite, mostra con orgoglio una fotografia che tiene appesa alla parete di una piccola sala da pranzo. È una foto scattata cinque anni fa, nei giorni della rivolta arancione, in cui canta e sorride con il presidente Viktor Yushchenko. «Forse non vincerà più le elezioni – dice Nico – ma rimane il nostro politico migliore». Yushchenko vive le ultime ore da capo di Stato. Ha superato la soglia di sbarramento ma non è andato oltre il 6%. Per molti, questa è la fine di un'epoca. Yushchenko ha guidato l'Ucraina per cinque anni e non sono stati cinque anni facili.
La sua carriera politica comincia nel 1999, quando lascia la Banca centrale per entrare in Parlamento con i riformisti. La svolta non arriva fra i banchi dell'opposizione ma durante una cena di gala in uno dei ristoranti più prestigiosi di Kiev: è lì che un agente dei servizi segreti lo avvelena con la diossina. La dose non è fatale, ma basta a sfigurargli il viso. Con quella faccia si presenta alle elezioni del 2004 e sfida il leader dei filorussi, Viktor Yanukovich. La campagna si svolge nel bel mezzo dell'inverno. Yushchenko propone una svolta radicale al Paese, soprattutto in politica estera: stop ai rapporti con il Cremlino, via libera alle procedure per l'ingresso nell'Unione europea e nella Nato. Il suo partito sembra avanti, ma le urne smentiscono i sondaggi e assegnano la vittoria a Yanukovich. L'annuncio provoca reazioni in tutta Europa, migliaia di giovani occupano per giorni la piazza dell'Indipendenza, nel centro di Kiev, sfidando il freddo e le forze di sicurezza. È una rivolta pacifica e viene chiamata «arancione» perché arancioni sono le coccarde che i giovani portano al bavero dei cappotti. Quando le autorità decidono di ripetere il voto, Yushchenko trionfa senza difficoltà. Molti in Europa propongono la sua candidatura al Nobel per la pace, ma il premio non arriva. Anche le riforme restano nel cassetto. Un analista dell'Institute for economic research di Kiev, Vitaly Kravchuk, pensa che il movimento colorato non abbia mai preso il potere. «La vittoria di cinque anni fa non è bastata a stringere il fronte dei riformisti – spiega -. Dopo le elezioni, Yushchenko ha cominciato una lunga battaglia con il premier Tymoshenko che ha paralizzato le istituzioni. Risultato: oggi siamo sull'orlo della bancarotta e molti pensano che la responsabilità sia del presidente».
I progressi, negli ultimi cinque anni, sono stati pochi. L'Ue ha rimandato la partnership commerciale con l'Ucraina, la Nato non è pronta ad accogliere il Paese fra i suoi membri e il governo non ha neppure i soldi per pagare le forniture di gas in arrivo da Mosca. È un problema per tutto il continente, perché l'80% delle forniture russe dirette in Europa passa per questa rotta. Anche la fiducia dei cittadini nella politica è crollata: basta passeggiare nei mercati popolari. «Finché è stato presidente, Yushchenko non ha fatto altro che ripetere di avere le mani pulite, di non essere corrotto come gli avversari e come i suoi stessi alleati – dice Dima, il proprietario di un banco di frutta sulla strada Yaroslavska –. Ma il punto non è avere le mani pulite: il punto è che le mani vanno usate».
La rivincita di Yanukovich e dei filorussi passa per questi mercati, per le fabbriche rimaste senza lavoro e per le miniere dell'est chiuse in attesa di tempi migliori. «Non sarà un santo, ma non vedo nessuna alternativa», spiega Dima. Eppure c'è una fascia di elettori che sarebbe stata pronta a qualsiasi sacrificio pur di sostenere un leader malandato come Yushchenko. Sono i giovani che hanno partecipato alla rivolta arancione, gente sulla trentina che parla l'inglese e vorrebbe che il movimento filo occidentale avesse un'altra chance di governare.

«Yushchenko è stato un eroe per la nostra generazione – racconta Marta, studentessa di marketing –. È grazie a lui se oggi il nostro Paese ha uno spirito nazionale». Ma in questa domenica di elezioni, chi si trova sulla piazza dell'Indipendenza ha in mente soltanto compere e relax. E sul presidente cala il sipario.

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