da Cannes
Ci sono persone alle quali stringere la mano è lusinghiero, come l'attore, regista e romanziere francese Jean-Claude Brialy, morto ieri a Parigi a settantaquattro anni. Era stato il principe del cinema della Nouvelle Vague: elegante e spiritoso, gay ma capace di interpretare con naturalezza lo sciupafemmine. La sua carriera è eloquente: oltre centocinquanta film con registi come Renoir (Elena e gli uomini), Malle (Ascensore per il patibolo), Godard (La donna è donna), Truffaut (I 400 colpi), Pietrangeli (Io la conoscevo bene), Tavernier (Il giudice e l'assassino), Buñuel (Il fantasma della libertà), Chéreau (La regina Margot). Qualcuno in Italia lo ricorderà per Il mostro di Benigni.
Nato nel 1933 ad Aumale, in Algeria, figlio di un alto ufficiale, Brialy esordì nel 1956 nella Sonata a Kreutzer, cortometraggio di Rohmer. Ma a lanciarlo fu Claude Chabrol col suo primo film, Le beau Serge. Il suo successo, e quello di Chabrol, giunse con I cugini, dove Brialy precisò il personaggio del parigino cinico e aggressivo. Regista per cinema e tv, diresse una decina di film, incluso Male d'amore, con Romy Schneider e Nino Castelnuovo. Sempre presente nella vita mondana, a Parigi Brialy era proprietario del teatro «Les Bouffes parisiens». Non perdeva un'edizione del Festival di Cannes. Che non ci fosse quest'anno lasciava intuire quanto ormai stesse male. L'anno scorso, invece, era in platea dal primo giorno, quando - con il sindaco di Parigi, Bernard Delanoe, e l'ex ministro della Cultura, Jack Lang - venne alla prima di Paris, je t'aime, film collettivo che apriva il «Certain Regard».
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