Alberto Cantù
Non un direttore dorchestra, etichetta che sempre rifiutò, ma un musicista per cui, come è stato scritto, «salire sul podio assomigliava a un gesto mistico, a una dichiarazione di devozione nei confronti delle musiche eseguite».
Se nè andato per sempre e con laristocratica discrezione di sempre Carlo Maria Giulini, una vita per la musica e nella musica di chi, pur non amando letichetta di direttore («bisogna bene che qualcuno diriga: alloccorrenza sono io»), era non solo il decano fra le bacchette di casa nostra ma anche e soprattutto uno fra gli ultimi grandi «interpreti ispirati».
Interprete la cui statura fu altissima nel repertorio classico-romantico ovvero da Mozart a Beethoven (prima di dirigere le sinfonie beethoveniane aspettò la maturità), da Schubert a Schumann, da Brahms a Bruckner al Gustav Mahler ultimo: quello dei congedi, di una rarefatta Nona sinfonia tutta mezze tinte realizzata assieme allOrchestra Sinfonica di Chicago che la Deutsche Grammophon ha ripubblicato abbinandola saggiamente allIncompiuta schubertiana.
Giulini aveva lasciato «il caos del mondo» come dice il poeta, ovvero non dirigeva più professionalmente dallottobre del 98 limitandosi (e diradandola nel tempo sino a deporre la bacchetta e accantonare la musica) allattività pedagogica: ad esempio con i giovani musicisti dellOrchestra di Fiesole o della «Verdi» di Milano quando, appunto a 84 anni, il maestro fu colto da stress da podio con un collasso durante le prove. La venerazione dei colleghi, il pubblico che lo adorava, la critica che ne osannava le letture affidate ai tanti, memorabili dischi e alla memoria di opere e concerti (quel metafisico, ultimo Requiem verdiano a Torino) furono sempre una costante.
Giulini rimane «la leggenda» di chi il repertorio lo conosceva praticamente tutto da quando era ultima viola di fila nellOrchestra romana dellAugusteo, storico complesso dove, dal suo leggio, il maestro di Barletta cresciuto a Bolzano poi a Roma (nel Conservatorio di Santa Cecilia studiò violino e viola, composizione e rudimenti di direzione dorchestra) fece esperienze memorabili perché a dirigerlo erano interpreti come De Sabata, che lo vorrà alla Scala, e Mengelberg, Richard Strauss e Hindemith, Walter, Furtwängler e Klemperer: praticamente il gotha musicale del tempo. Il primo concerto Giulini lo diresse nel 44 poco dopo la liberazione di Roma. Nel 50 passava alla Radio di Milano debuttando in campo operistico con La traviata. Unopera di Haydn, Il mondo della Luna, fece drizzare le orecchie ai vertici scaligeri e dal 53, quando subentrò a De Sabata, al 56 fu direttore principale del Piermarini così nel 55 La traviata «di Visconti e della Callas», oggi su dischi Emi, è anche «la sua Traviata»: da direttore dopera senza confronti, ad esempio in campo mozartiano. Valga un Don Giovanni del 59, sempre per la Emi, con cantanti stellari salvo il protagonista e una formidabile progressione del racconto drammatico.
Dopo il 67 il mondo caotico dellopera fece propendere Giulini per il repertorio sinfonico in un crescendo di inviti dai maggiori complessi del mondo: direttore principale ospite a Chicago (1969), direttore della Sinfonica di Vienna (1973-76), poi, come successore di Zubin Mehta (dal 78) di quella di Los Angeles. Sino all84, allimprovvisa malattia della moglie, al rientro inatteso in Italia e al ritorno come direttore ospite di orchestre che vanno dalla Filarmonica di Berlino allOrchestra di Parigi, dai complessi della Radio Bavarese alla Filarmonica della Scala.
Col passare dei decenni, assieme alla scelta di «tempi» molto ampi e nobili, crebbe la bellezza profonda delle tinte a suggellare ed esaltare modi aristocratici e mistici, da maestro dellintrospezione e della cantabilità con la musica distillata in puro suono.
Maestro che riusciva a far respirare gli strumentisti dellorchestra in modo assolutamente naturale nonostante la lentezza del movimento.
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