Il numero del decennale di Playmen - luglio 1977, ragazza copertina: Isabella Biagini - qualche pagina dopo lo speciale intitolato Come è cambiato il mondo... e noi ospitava, come di consueto, una lunga «intervista dautore». Quel mese, lautore era Jorge Luis Borges. Quando si dice che lerotismo è prima di tutto un fatto intellettuale.
Comunque, la risposta alla domanda «quanto siamo cambiati?» era chiara a tutti già allora: il mondo non solo era cambiato, era stato stravolto. Fra il 1967, lanno di fondazione della rivista - il capolavoro imprenditoriale e giornalistico di Adelina Tattilo, la madame dellerotismo patinato allitaliana - e la metà degli anni Settanta, era successo di tutto: tra le cose maggiormente degne di nota, una rivoluzione sessuale e una politica. Entrambe, peraltro, ancora in corso in quel momento.
Adelina Tattilo - che ieri è mancata a 78 anni, a Roma, dopo una breve malattia - di quel gigantesco cambiamento fu in qualche modo la madrina. Togliendoli alle ragazze più belle dellepoca, cambiò i costumi degli italiani. Tagliando centimetri di stoffa a dive e starlette, confezionò i sogni proibiti più belli che luomo italiano potesse sognare. Spingendo sempre più avanti, con una delicata pacca sul culo, quello che allora si chiamava «il comune senso del pudore».
Aveva iniziato come giornalista, Adelina Tattilo - elegante e biondissima fino allultimo - poi pensò che potesse essere più interessante il mestiere delleditore: «Ho avuto molto coraggio - rivendicò quando Playmen compì trentanni - i tabù erano tanti e io una donna sposata, di famiglia cattolica osservante, e in più tre figli, non è stato certo facile».
Non lo fu. Nessuna rivoluzione lo è. A costo di qualche sequestro Playmen ruppe parecchi tabù, ma fece anche molta informazione sul sesso: bellezze in fiore si alternavano a fior di articoli su liberazione sessuale, rapporti di coppia, divorzio, aborto. A suo modo, una battaglia civile.
Comè bello il porno vintage, a risfogliare quei vecchi rotocalchi osè, quando il sesso era ancora più vicino alleros che allo stupro, come ora. Splendidi nudi, grandi fotografie, grafica raffinata, interviste esclusive, firme chapeau. Ecco cosa fu Playmen, rotocalco rivoluzionario travolto da una rivoluzione ancora più grande, quella dellhome video (chiuse, ahinoi, nel 2001). Ai tempi doro, metà degli anni Settanta, arrivava fino alle 200mila copie al netto di eventuali scoop, come quello celebre delle foto rubate a Jacqueline Kennedy desnuda. A pensarci oggi, sarebbe difficile dire se erano più belle le dee o le idee della rivista, la sezione nature o Kultur: da una parte - pescando a caso dalla pila dei vecchi numeri - Brigitte Bardot, Ornella Muti, Edwige Fenech (che esordì proprio come playgirl del mese), Eleonora Vallone, Serena Grandi, Nastassja Kinski, Annamarisa Rizzoli, persino Donatella Di Rosa, al secolo lady golpe... dallaltra - sfogliando sempre a caso le pagine letterarie affidate a Franco Valobra - racconti di Moravia, Calvino, Soldati, Bianciardi, gli inediti di Hemingway, la prima intervista italiana a Marcuse, quelle a Ionesco e Allen Ginsberg, estratti dal Voyage dItalie del Marchese de Sade, i disegni erotici di Dalí e Picasso e le matite erette di Crepax e Manara (ma ci fu anche un incredibile Jacoerotikon di Jacovitti... ).
Definirla «per soli uomini», forse, è improprio. Playmen, rivista nostrana dellintrattenimento sexy, si mostrava a tutti. Il pubblico ideale, per Adelina Tattilo - che nel 75 fu segnalata dallOnu come una delle donne più importanti del mondo, per dire lappeal internazionale della signora - era fatto da lettori, uomini e donne, «che preferiscono limmaginazione allazione, il velo al nudo totale, il nudo bello a quello volgare», confessò una volta.
Foggiana di origini, craxiana di ferro, smart and gorgeous, «bella e intelligente», come la onorò un giorno Harry Kissinger, spregiudicata ma corretta, sveglia alle sette, dodici ore di lavoro e trenta sigarette al giorno, Adelina Tattilo - che le femministe bollavano come «manager del porno-inchiostro» - era prima di tutto una donna libera che più libera non poteva essere. E Libera decise di chiamare - anno di scarsa grazia 1974 - un nuovo giornale «per la donna moderna», quello che spiava Philippe Leroy e Luc Merenda sotto la doccia. Dopo quelle della Fenech un altro bel passo avanti.
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