Addio mamma e libertà Così per Vallanzasca arriva il giorno più nero

Era piccola, smilza e dura. Certo, per suo figlio Renato era comunque «la mammina», «tutta bianca coi capelli color della neve...». Ma Maria Vallanzasca era una di quelle donne cui la vita non lascia molte scelte: o diventi dura come un sasso, o vai in frantumi. Ragazza madre nella Milano aspra degli anni Cinquanta, con un figlio ingestibile e scavezzacollo. Nel ruolo di madre del pericolo pubblico numero uno c’era entrata un po’ per volta, man mano che il nome di Renato veniva gonfiato a dismisura dalle cronache dei giornali. Nessuno, neanche quando suo figlio era sepolto nei carceri speciali, l’ha mai sentita lagnarsi o versare una lacrima. Se i giornalisti bussavano all’uscio di casa, lei li cacciava fuori.
Se n’è andata ieri mattina, giusto in tempo per risparmiarsi l’ultimo dispiacere: la sentenza del tribunale di sorveglianza che respinge la richiesta di semilibertà presentata da Vallanzasca Renato, detenuto con «fine pena mai» nel carcere di Bollate. Arrivato al ventiquattresimo anno di carcere ininterrotto, i giudici hanno ritenuto che l’ex re della Comasina sia ancora pericoloso: non tanto perché abbia ancora una banda da guidare - i suoi compagni di un tempo sono tutti in pensione o sottoterra - ma perché ha un carattere ingovernabile, e lo ha dimostrato mandando a quel paese un intero equipaggio dei carabinieri durante una delle ultime licenze. Episodio in sè banale ma che testimonia di una irriducibilità di fondo, che può produrre qualunque sconquasso. Lo aveva, d’altronde, ammesso lui stesso, Vallanzasca, chiacchierando con i giornalisti in tribunale poco tempo fa: «Io sono sempre quello, nel senso che sono uno fumantino. Mi arrabbio un po’ facilmente. Però rispetto ad una volta il grande passo avanti è che mi fermo alle parole. Se quando in carcere fanno le perquisizioni una guardia un po’ giovane mi dice: togliti le mutande, a me viene spontaneo rispondergli: le mutande toglile a tua sorella». Ai giudici, evidentemente, non è bastato per sentirsi tranquilli.
Lei, mamma Maria, chissà se si faceva illusioni. Ormai da anni stava male, e proprio per starle vicina suo figlio aveva chiesto dapprima l’avvicinamento a Milano, che gli era stato concesso, e poi la libertà condizionale, che gli era stata rifiutata per una ammenda non pagata. Nel 2006, quando la signora Maria aveva ormai 89 anni e sembrava prossima ad andarsene, il figlio aveva ottenuto il primo permesso, per andarla a trovare in ospedale. Poi per fortuna lei si era ripresa, altri incontri erano seguiti, e quando Vallanzasca si era sposato con la sua Antonella, nuora e suocera erano andate a vivere insieme.
Quando è uscito il film su suo figlio, Maria non era da tempo in condizioni di uscire. Ma a vederlo non ci sarebbe andata lo stesso.

Per molti, il film è troppo indulgente, rimuove la ferocia dell’assassino senza remore che fu Vallanzasca. Ma comunque l’avrebbe costretta a fare i conti con quello che nessuna madre sa affrontare, quando il piccolo che allattavi è diventato ciò che non sognavi per lui.

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