Addio principe delle tenebre. Ci hai fatto paura (e ridere)

La rockstar si era appena ritirata con un concerto. Ha inventato il metal. Esilarante il suo reality show

Addio principe delle tenebre. Ci hai fatto paura (e ridere)

In fondo se ne è andato solo quando ha finito la sua missione, appena due settimane dopo l'ultimo concerto, il concerto di addio di un padrino del rock più duro, quell'heavy metal che faceva inorridire la critica ma resta tuttora una delle ultime frontiere di condivisione nella musica. Ozzy Osbourne è stato uno delle più incredibili rockstar mai esistite, leader e fondatore dei Black Sabbath senza i quali non ci sarebbe metà del rock tuttora in circolazione, uno dei pochi ad avere una carriera solista di grande successo dopo essere uscito da una band di grande successo, la conferma che il legame con il pubblico non lo creano i social ma i concerti, i dischi, la passione.

John Michael Osbourne detto Ozzy aveva 76 anni, era nato a Birmingham, padre attrezzista, madre operaia, povertà quasi assoluta, era da tempo inseguito dal Parkinson e scontava una vita di eccessi che sono diventati leggenda. Qualche anno fa, rispondendo a un giornalista italiano che gli chiedeva un particolare su di un concerto a Taormina nel 1972, disse quasi smarrito: "Io non mi ricordo nulla di tutti gli anni Settanta, si figuri se posso dirle qualcosa proprio di quel concerto". Era il principe delle tenebre, "Hey I'm the prince of darkness", ci ha fatto paura ma, come tutte le vere superstar, si prendeva così poco sul serio da far ridere o sorridere. Anni fa, una commissione di ricercatori aveva analizzato il suo Dna per capire come fosse possibile che quell'uomo fosse sopravvissuto a tutti i vizi e a tutte le follie. "Il medico mi disse: non so proprio come tu faccia a essere ancora vivo". Il 5 luglio, nello stadio dell'Aston Villa a Birmingham, lui e sua moglie Sharon avevano organizzato l'ultimo concerto, una sorta di reunion del meglio di un certo tipo di rock, quello fatto di muscoli e virtuosismi, quello che l'autotune se lo mangia, dai Metallica a Steven Tyler degli Aerosmith, ai Guns N'Roses, a Ron Wood dei Rolling Stones. Era apparso sul palco seduto su di un trono perché non poteva più camminare, il boato del pubblico era commosso come mai in un stadio, ma poi era stato più mattatore di un ventenne saltellante, altro che, god bless you all, dio vi benedica tutti ripeteva sempre e oggi dio benedica anche te, caro padrino del metal. Lì a Birmingham ha cantato, a fatica ma accidenti con che grinta, i suoi classici come Mr.Crowley e Crazy Train. Poi ha riunito i Black Sabbath originali lì nello stadio poco distante da dove era nato, ruggendo pezzi come N.I.B o Iron Man o Paranoid con quel verso "la gente pensa che sono pazzo perché sono sempre arrabbiato", che è diventato uno slogan esistenziale per tanti e tanti anni. Era l'epilogo di una storia, davvero l'ultimo concerto di una vita iniziata ai margini della società, prima come operaio, poi addirittura come collaudatore di clacson prima di diventare quel cantante con la voce un po' acuta ma allo stesso tempo profonda che rendeva perfettamente l'idea del buio, del gotico ma anche dell'inquietudine, dell'insofferenza, della ribellione che si diluiva nei giri di chitarra rabbiosi e cupi e potentissimi. Difficile ci sia un altro Ozzy Osbourne nel futuro, un'altra rockstar che viva in un mondo e in un modo esagerato ma allo stesso tempo sia tremendamente normale. "Se ho resistito fin qui è stato merito di Sharon" ripeteva sempre riferendosi a sua moglie che una volta, in piena confusione stupefatta, aveva persino tentato di uccidere ma che è rimasta al suo fianco fino a quando, ieri mattina, gli ha visto chiudere gli occhi. "Era con la sua famiglia e circondato dall'amore" recita il comunicato ufficiale. Scorrono ora tutte le tappe della sua vita. Il primo disco dei Black Sabbath pubblicato venerdì 13 febbraio 1970, il successo globale, le dipendenze per le quali era stato buttato fuori dalla band e finito a spendere gli ultimi dollari in uno scassato hotel di Los Angeles: "Se sopravvivo, torno a Birmingham e apro un bar", aveva detto. Invece alla porta bussò Sharon, figlia del manager dei Black Sabbath Don Arden, e da lì si riparte, era la fine degli anni Settanta. La gloria dei due primi dischi da solista (un Blizzard of Ozz che è ancora uno dei capolavori del genere), la sfortunata morte del chitarrista Randy Rhoads, "il mio miglior amico" come lo ricordava ogni volta, la polemica americana sui testi di brani come Suicide solution, i tour devastanti e devastati, il pipistrello morsicato sul palco ma forse è solo una leggenda, la serie tv The Osbournes che per quattro stagioni ha fatto ridere il mondo (Ozzy era un caratterista di se stesso, praticamente inimitabile), gli ultimi dischi di rara potenza per un settantenne. "Go fucking crazy for the last time", diventiamo maledettamente pazzi per un'ultima volta aveva detto prima di cantare Paranoid davvero per l'ultima volta nella sua vita, gli occhi cerchiati di nero e di sofferenza, la voce incrinata mentre diceva "la gente mi crede pazzo perché sono sempre arrabbiato", il pubblico commosso sotto il palco.

Poi ha salutato gli amici, è uscito dallo stadio per uscire pochi giorni dopo anche dalla vita, così in un mattino di luglio, perché chi ha vissuto come ha voluto alla fine decide anche quando è il momento di andarsene senza chiedere il permesso.

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