«La festa appena cominciata/ è già finita/ il cielo non è più con noi...»: con questi suoi versi del 68, musicati e portati alla vittoria sanremese da Sergio Endrigo, è bello ricordare Sergio Bardotti, il suo estro mai routiniero, la sua cultura vasta, la sua solida e comunicativa poeticità.
Un cedimento del cuore ce lha rubato, ieri, ad appena sessantotto anni di età, ampliando ulteriormente quella sorta di nemesi che uno ad uno ci va sottraendo, ancor giovani, i grandi padri della canzone moderna: Battisti, De André, Bindi, Endrigo, Lauzi e ora Sergio. Che con Mogol e Giorgio Calabrese costituiva lineguagliabile trinità dei maggiori parolieri italiani, ciascuno dei tre inconfondibile, tutti e tre legati a un impegno di nobilitazione che portasse la musica leggera fuori dai propri limiti: piccolo e impulsivo Mogol, cantore dellepopea dimessa della quotidianità; elegantissimo, quasi ieratico Calabrese, capace di infondere vibrazioni di poesia al linguaggio parlato di tutti i giorni; atticciato, sanguigno e insieme pacioso Bardotti, dei tre il più «letterario» e non a caso il più legato, nella sua lunga carriera, allevolversi e alle vicende del cantautorato.
Dei tre grandi Bardotti, pavese, esordiente nel 62 con una serie di dischi in cui Ungaretti, Montale, Pasolini, Quasimodo recitavano se stessi, era anche lunico musicista: laureato in lettere, e insieme diplomato in pianoforte, simpose per quasi mezzo secolo sia con la prepotente musicalità dei suoi testi sia col felicissimo estro di produttore. Luna e/o laltro espressi al fianco dartisti come Tenco, Ornella Vanoni, Patty Pravo, i Rokes, Lucio Dalla (Piazza Grande, Il cielo, Occhi di ragazza), Venditti (Roma), i New Trolls (il mitico, baroccheggiante Concerto grosso su musiche di Luis Bacalov) e ancora il Paoli di La nostra casa, il De André di Non al denaro non allamore né al cielo e altri innumeri. Ma ora che se nandato, mi piace ricordare Bardotti con alcune tra le sue iniziative di minor successo, e tuttavia più ardimentose, e dunque più indicative del suo idealismo dautore alla perenne ricerca di sé. Così Maria Bonita, album epico e misconosciuto di Anna Identici, a Sergio legata da unintensa storia damore. E poi la bellissima versione italiana di Famous blue raincoat, di Leonard Cohen, scritta a quattro mani con Fabrizio De André per la voce di Ornella Vanoni. Infine, La vita amico è larte dellincontro, grandissimo disco dedicato a Vinicius De Moraes, in cui alcune liriche del poeta e cantore brasiliano venivano tradotte e declamate da Giuseppe Ungaretti, e alcune sue canzoni, nellintensa versione di Bardotti, venivano cantate da Sergio Endrigo e, con Toquinho alla chitarra, dallo stesso Vinicius. Ché anche nel ruolo di traduttore Sergio ottenne risultati altissimi, misurandosi vittoriosamente con testi tuttaltro che facili: da Chanson des vieux amants di Jacques Brel a E io tra di voi di Charles Aznavour, da Chico Buarque a De Moraes.
Poi si dovrà dire - dopo avere ricordato che una sua commedia musicale per bambini, I musicanti, scritta con Bacalov e tradotta da Chico Buarque, furoreggia da ventidue anni in tutta lAmerica latina - che il suo più grande successo dautore fu Aria, di Dario Baldan Bembo. Che fu Ti lascerò, scritta per le voci di Anna Oxa e Fausto Leali, a procurargli, dopo lendrighiana Canzone per te, la sua seconda vittoria sanremese.
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