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Addio a Steve Cropper, il blues brother riluttante

Era un chitarrista eccezionale che si muoveva dietro le quinte. Il film con Belushi cambiò tutto

Addio a Steve Cropper, il blues brother riluttante
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Ci sono figure nel mondo della musica che svolgono un ruolo oscuro quanto essenziale, mantenendosi dietro le quinte per un'intera carriera, pur tracciando un solco indelebile nella storia.

Steve Cropper, chitarrista e autore, scomparso il 3 dicembre all'età di 84 anni, ne sarebbe stato una delle massime incarnazioni se un film e che film, The Blues Brothers non ne avesse proiettato l'immagine tutto sommato sconosciuta sul trampolino della celebrità internazionale.

Nato nel Missouri, ma trasferitosi in giovane età a Memphis, Tennessee, Cropper sarebbe sempre stato intimamente un uomo del Sud, del Sud nero, finendo per accompagnare alla chitarra alcuni dei nomi più celebri del firmamento soul.

Entrato a far parte della band strumentale dei Mar-Keys, prima, e dei Booker T & the M.G.'s, poi (nel 1962), si costruì una solida reputazione di chitarrista ritmico pregno di umori blues e di cadenze sincopate e, soprattutto, di creatore di una serie di riff celeberrimi che ancor oggi sono oggetto di studio e rappresentano un punto fermo nella musica afroamericana. La cosa buffa è che due dei quattro membri della band, ovvero lo stesso Steve e Donald Duck Dunn, il bassista, erano bianchissimi.

Nei primi anni Sessanta, molte grandi case discografiche si avvalevano degli stessi strumentisti per qualsiasi incisione di un loro artista, in modo tale assicurandosi un suono facilmente riconoscibile. E fu anche così che si creò una sorta di leggendaria concorrenza tra la Stax di Memphis, la casa del soul più sanguigno e sudista, e la Motown di Detroit, imperniata su sonorità più raffinate. Fu proprio Steve Cropper a imprimere un'impostazione personalissima alle registrazioni di alcuni tra i maggiori evergreen della storia, assicurandosi un futuro economicamente stabile, figurando come co-autore di buona parte di tali hit: (Sittin' On) The Dock of the Bay (epitaffio postumo del grande Otis Redding, perito in un incidente aereo insieme ai Bar-Keys, la sua band); Soul Man del duo Sam & Dave; In the Midnight Hour di Wilson Pickett, l'urlatore del soul; Knock on Wood di Eddie Floyd, per citarne alcune.

"Non sono un vero chitarrista, comunque non so bene come suono quello che suono" disse in una recente intervista, scherzando sulla sua scarsa tecnica e conoscenza armonica. "Però so da dove viene ciò che suono: dal blues e dal country sudista." Non si fa fatica, in effetti, a riconoscere nei suoi riff irresistibili la mano blues di chitarristi come Chuck Berry e Freddie King e pure i fraseggi "chicken pickin'" di Scotty Moore e James Burton, i due chitarristi del re Elvis.

Ci sono strumentisti che, con il loro sound unico (per quanto imitatissimo) lasciano una traccia indelebile, restando però relegati a un anonimato quasi assoluto, prima di essere riesumati in vita, come accadde a Cropper grazie al film The Blues Brothers, di John Landis.

In realtà, The Blues Brothers riportò a galla l'intero R&B, oltre che dare un volto pubblico a Steve Cropper e al suo sodale Donald Dunn, entrambi vistosamente in imbarazzo nelle modeste battute che recitarono. Steve Cropper è il perfetto esempio del chitarrista che con poche note dice tutto ciò che va detto e, per questo, ancor oggi è oggetto di studio.

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