Addio alla supernazione europea. Champagne!

Ho letto che il nuovo trattato, quello voluto da Sarkozy, ha stabilito che spariranno questi simboli: inno europeo, bandiera, la menzione «la moneta dell’Unione Europea è l’euro», il nome Costituzione. Non mi è molto chiaro cosa significhi questo. Quali implicazioni pratiche comporta? Vuol forse dire che dobbiamo dire addio all’inno e alla bandiera? Nel tal caso, vado subito a comprarmi una bottiglia di champagne, omaggio a Sarkozy, ovviamente.
Francesco Biondani - Lazise (Vr)


Stappi pure la bottiglia di champagne, caro Biondani, perché le cose stanno proprio così ed anzi, stanno anche meglio. Non solo è stato deciso che dal futuro Trattatello - la «cosa» che prenderà il posto della ridondante e velleitaria Eurocostituzione (peraltro abortita sul nascere) - scomparirà ogni riferimento all’inno e alla bandiera europea, ma anche il motto («Uniti nella diversità») e la Giornata dell’Europa (9 maggio, San Geronzio). Sparirà, in pratica, tutto ciò che simboleggiava l’Europa-nazione, la patria collettiva e dunque l’omologazione di ventisette diverse culture, tradizioni, storie (e, ove mai la Turchia fosse stata cooptata nell’Unione, anche religioni). Il merito della liquidazione dell’apparato simbolico di un’Europa dei sogni (o, forse, delle allucinazioni) va senza dubbio a Nicolas Sarkozy, ma occorre aggiungere che il presidente francese ha, come si dice, affondato il coltello nel burro trovando i soci comunitari pienamente d’accordo nel procedere al repulisti. Non tutti, ovviamente. Ad esempio non Prodi e più che mai Napolitano, entrambi smaniosi di rinunciare alla identità e alla sovranità nazionale sacrificandole sull’altare di una ipernazione che ci avrebbe dovuto fare tutti buoni, perbene, virtuosi, solidali. E apolidi.
È sorprendente e al tempo stesso confortante prendere atto di come ancora una volta il buon senso abbia fatto aggio sulle mattane utopiche condite dal carico di Ideali, Valori e Princìpi non espressione di finalità universalmente sentite, condivise e sedimentate dal tempo, ma freddamente elaborate a tavolino. Certo, sarebbe stato meglio che uno come Sarkozy fosse comparso sulla ribalta europea prima che Bruxelles spingesse sull’acceleratore dell’allargamento, anche se proprio all’allargamento - istericamente perseguito da Prodi nelle vesti di presidente della Commissione - dobbiamo la crisi dell’Europa europeista e la sua rapida messa in liquidazione. Però va bene anche così, nel senso che Sarko è comunque arrivato prima che la frittata fosse fatta. È invece sconcertante rilevare come, mandando a quel Paese il commissario Joaquin Almunia e, con lui, le istituzioni, le regole, i trattati eurolandici, ad approffittare della messa in liquidazione dell’europeismo sia per primo proprio Romano Prodi.

Ovvero colui che più d’ogni altro ne aveva cantato, anema e core, le lodi. Tanto che viene da chiedersi: ma quell’omarino lì, crede in qualcosa? Crede in una sola delle molte parole che si sbrodola addosso?

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