Adesso il governo bastona anche i medici

Antonio Signorini

da Roma

I primari che lavorano negli ospedali pubblici non potranno più esercitare la libera professione. In autunno il governo presenterà un disegno di legge che conterrà, tra le altre cose, «una norma che prevede per i primari e i capi dipartimento il rapporto esclusivo con il Servizio sanitario nazionale. Nel caso scegliessero il lavoro privato esterno dovranno lasciare l’incarico». Per i camici bianchi sarà più difficile cambiare idea. Oggi la scelta si può fare ogni anno, con la riforma del governo «verrà mantenuta la reversibilità, ma con tempi legati al contratto».
L’annuncio lo ha dato il ministro della Salute Livia Turco in un’intervista a Repubblica nella quale ha ammesso le difficoltà della precedente riforma della professione medica firmata dall’attuale ministro della Famiglia Rosi Bindi. A non funzionare, secondo il ministro Ds, è il cuore del sistema progettato dal precedente governo di centrosinistra: la libera professione intramoenia, cioè l’attività privata esercitata da medici del servizio sanitario dentro le strutture pubbliche. Le aziende sanitarie locali non hanno attrezzato gli ospedali. «La storia - lamenta Turco - si trascina da troppi anni, ben 412 milioni di euro previsti in bilancio non sono mai stati richiesti dalle regioni per adeguare gli spazi sanitari. Segno che qualcosa non ha funzionato».
Livia Turco non ha dato altri particolari. Non ha spiegato, ad esempio, se i primari e i capi dipartimento dovranno rinunciare per sempre all’incarico, magari mantenendo il posto, o se le loro qualifiche, in caso di opzione per il privato, saranno solo sospese. Non è chiaro nemmeno se per cercare di tamponare il prevedibile esodo dei primari più bravi dagli ospedali pubblici sarà aumentata l’indennità di esclusiva o se si lascerà lavorare i meccanismi di mercato, a vantaggio dei privati.
Contraddizioni messe in evidenza dal centrodestra. Il vicecoordinatore di Forza Italia Fabrizio Cicchitto giudica le anticipazioni di Turco «di una gravità straordinaria». Sono «un attacco non solo all’élite medica, ma anche alla sanità pubblica in quanto tale e proprio ai ceti più poveri che solo nell’ospedale possono essere curati da medici di alta qualità. Infatti la meritocrazia operata dallo Stato sociale è un elemento essenziale di uno Stato liberaldemocratico, mentre essa è attaccata e distrutta - conclude Cicchitto - da chi ha una concezione collettivista di ogni aspetto della vita pubblica e privata». C’è il sospetto - denuncia Italo Bocchino di An - che «dietro un principio apparentemente nobile si nasconda l’interesse di drenare le migliori professionalità verso i privati». La vera sfida, spiega la senatrice azzurra Maria Burani Procaccini, sarebbe far funzionare l’intramoenia, «molti medici sarebbero ben lieti di svolgere l’attività libera all’interno delle strutture pubbliche». Per il portavoce dell’Udc Michele Vietti «ancora una volta prevale a sinistra il principio dirigista. Ci auguriamo che anche i medici, come già hanno fatto altre categorie professionali nelle ultime settimane, prendano atto di questa ostilità nei loro confronti e della sottovalutazione delle loro esigenze da parte dell’attuale maggioranza».
Nel mirino del ministro Turco anche la legge sulla droga del governo Berlusconi che deve essere modificata. Poi, per quanto riguarda le regioni con forti disavanzi sanitari propone come soluzione una «equipe di esperti» che «dovrà studiare i modelli sanitari» in crisi finanziaria. Le regioni «virtuose» dovranno «trasferire il loro know-how organizzativo a quelle che non ce la fanno».


Per quanto riguarda l’aborto, Turco indica il modello delle regioni governate dal centrosinistra. «Voglio - annuncia - trasferire i modelli di eccellenza dei consultori piemontesi, toscani, emiliani e umbri nelle regioni dove l’informazione e l’assistenza alle donne è ancora deficitaria».

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