Adesso taroccano pure le bambine

I terroristi uiguri accoltellano tre guardie nello Xinjiang. Si teme un attentato suicida in città e tra gli stadi compaiono i blindati

Magari invece dei cinque cerchi olimpici hanno messo cinque anelli di totano e invece dell’esercito di terracotta un battaglione di David Gnomo ritoccati ad arte. D’altronde qui la patacca è specialità della casa e i Giochi non fanno che confermarlo. E no, non si parla delle cataste di bamboline tossiche made in Hong Kong che spuntano nei bazar e sulle bancarelle di casa nostra.
Si parla dell’Olimpiade, dove scoppia la bolla delle cialtronate. Ultimo tarocco da competizione è quello delle voci bianche. Roba da Telefono azzurro. La bambina in vestito rosso che aveva commosso mezzo pianeta gorgheggiando l’inno cinese durante l’inaugurazione, infatti, ha cantato in playback. Una carinissima e sorridente marionetta dotata di codini. Un po’ come il corvo Rockfeller degli anni Ottanta, ma con una voce più melodiosa di quella del ventriloquo Moreno. Insomma, Lin Miaoke - 9 anni e già miliardi di commenti on line sulla sua bravura e sul suo visino da piccola imperatrice - era una cineseria muta. Chi cantava (divinamente) era Yang Peiyi, 7 anni e due incisivi da castoro distratto che ha addentato un pilone di cemento invece di un acero del Canada. A Lin, invece, manca solo un dentino laterale. Per il resto, sembra uscita dalla pubblicità del dentifricio. Motivo più che sufficiente per scaraventarla sulla ribalta del mondo: «È stata una decisione del Politburo. Yang Peiyi era perfetta dal punto di vista vocale - ha spiegato Chen Qigang, direttore musicale della cerimonia -, però l’immagine doveva essere impeccabile ed espressiva e Lin Miaoke aveva queste caratteristiche».
Ecco dunque il Frankenstein Junior alla pechinese: si pigliano una bella bimba e una bella voce e si gabba l’universo mondo «nell’interesse della nazione». Quella nazione che cova le repliche e i ritocchi in una tradizione millenaria. E così, accanto ai templi taoisti che ad ogni restauro vengono ricostruiti per sembrare nuovi di zecca, ecco i marchi contraffatti e le bambine taroccate. Quello che conta è l’effetto-perfezione. L’autenticità è sacrificabile.
L’ammissione di certificata mistificazione infantile è solo l’ultima di una serie. Già, perché i trucchi sui fuochi d’artificio non avevano scandalizzato. Sarà perché criticare i cinesi su razzi e mortaretti è come sindacare con gli argentini sul tango, sarà perché frizzi&lazzi celesti parlano allo stupore e non alla ragione. Fatto sta che quei 29mila botti luminosi che hanno accompagnato la cerimonia di apertura erano mezzi «pacchi». Questione di lungimiranza. «Alcune immagini dello spettacolo pirotecnico sono state registrate durante le prove e inviate ai network affinché le utilizzassero in caso di scarsa visibilità», ha ammesso il vicepresidente del comitato organizzatore Wang Wei. Una bella differita, nel caso i cieli di Pechino si fossero tinti di smog e nebbia. E non solo, dato che il capo degli effetti speciali Gao Xiaolong ha dichiarato che le immagini erano pure computerizzate. Giusto per non farsi mancare niente.
Ultimo capolavoro di creatività sono poi le ciurme di volontari che vengono agghindati da tifosi e inviati sugli spalti semivuoti come riempitivi. Centinaia di zelantissimi cinesi con l’occhio da pesce lesso, la felicità di ordinanza e il compito di tifare qualunque cosa si muova, palla, arbitri e piattelli compresi.

Possibilmente con le bandierine da agitare con partecipazione. Non sia mai che qualcuno si accorga che quegli scriccioli dagli occhi a mandorla che esultano all’oro di un judoka tedesco non sono genuini tifosi di Dusseldorf...

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