Milano - Ci voleva l’Imperatore per mandare all’aria il valzer di smentite e salamelecchi in cui si era trasformato il processo per estorsione a Fabrizio Corona. Il processo si trascina da mesi, a ogni udienza i vip chiamati in aula come testimoni dell’accusa le si rivoltavano contro. Noi ricattati da Corona? «Macchè», «mi ha venduto le foto per farmi un favore», «Siamo amici, anzi amicissimi».
Corona è accusato di avere ricattato a destra e manca: «Ci sono delle foto allucinanti su di te, posso aiutarti a farle sparire». Ma i presunti ricatti, una volta evocati in tribunale, si squagliavano come neve al sole. In aula, stretto tra i suoi avvocati, Fabrizio Corona ad ogni udienza appariva più rilassato. D’altronde, nel dorato mondo del gossip, chi può avere interesse a rompere davvero il giocattolo, a trasformare il gioco eterno delle paparazzate in roba da codice penale?
Invece ieri pomeriggio in aula arriva un ragazzone grande e grosso che di questi giochetti, evidentemente, poco sa e poco gli importa. Nome e cognome? «Adriano Leite Ribeiro». Il centravanti dell’Inter porta due diamanti per orecchini. Parla delle foto scattate durante una grigliata, un «churrasco», nella sua villa vicino Como. Ragazze allegre, Adriano semisdraiato sul tavolo. E di come Corona cercò di convincerlo a pagare le foto a peso d’oro per farle sparire dalla circolazione. «Io non volevo pagare, non avevo fatto niente di male. Lui disse che le ragazze potevano passare per prostitute. Che le foto si potevano ritoccare. Lui disse che il sale grosso che si vedeva su un tavolo poteva sembrare cocaina». Chi fu a dirle così? «Lui»: e indica Corona, seduto a cinque metri da lui. Quanto voleva? «Trenta o quarantamila euro. Diceva che per uno che guadagna cinque milioni all’anno non erano niente».
Eppure l’udienza era cominciata bene, con un altro calciatore, l’ex interista e milanista Francesco Coco, abile a dribblare le domande senza mai puntare il dito contro Corona, fino a dirsi ben lieto di avere sborsato trenta milioni di lire per le foto di una vacanza tra soli uomini. Invece nel pomeriggio il clima in aula cambia. Che butti male per Corona si capisce già quando sul banco dei testimoni va a sedersi Stefano Filucchi, oggi direttore generale dell’Inter, ma per vent’anni funzionario di polizia. Un duro, insomma. Racconta dell’incontro nella sede dell’Inter in via Durini, quando Corona cercò di rifilare le foto direttamente alla società. «Diceva che da interista voleva farci un favore, voleva impedire che le immagini venissero pubblicate, che facessero del male a Adriano. Gli risposi che se fossero state pubblicate lo avrei ritenuto personalmente responsabile. E lo cacciai dal mio ufficio dicendo che non lo denunciavo per estorsione solo perché aveva lavorato per un po’ a Inter Channel».
Poi tocca ad Adriano. E per Corona la situazione si fa ancora più pesante. Il pubblico ministero Frank Di Maio si alza, fa vedere ad Adriano le foto che lo ritraggono durante il «churrasco». Chi sono queste ragazze? «Sono delle ragazze di Como». Sono delle prostitute? «Niente affatto». Avevate bevuto alcool? «Un po’». Era ubriaco? «No». Arriva la foto più ambigua, Adriano appare quasi disteso sul tavolo. «Mi ero sdraiato per entrare nell’inquadratura». Questa polvere bianca cos’era? «Sale grosso».
Sono le fotografie che Corona, qualche tempo dopo, cercò di rifilare all’entourage di Adriano: il cugino Rafael, l’amico Mauro Bousquet. E ieri Adriano rivela di avere assistito, grazie a un telefonino messo in viva voce, ad una chiamata tra Bousquet e Corona. Di avere sentito con le sue orecchie Corona che prospettava conseguenze spaventose se le immagini fossero entrate in circolazione, «parlava di siti Internet», «parlava di puttane e di coca, diceva che le foto si possono ritoccare». Corona sbuffa, si alza, lascia l’aula.
Ma Adriano è un fiume in piena, racconta e rivendica di non essersi arreso. «Io non avevo paura, non volevo pagare perché non avevo fatto niente di male, e non ho pagato. Le fotografie sono uscite, e ci sono state le conseguenze. Per un pezzo non andavo a cena con i compagni di squadra, perché c’erano le loro mogli e io non avevo la faccia, non me la sentivo.
Avevo paura ad andare a mangiare al ristorante, a prendere in mano un bicchiere di vino. Ancora adesso, ogni volta che si parla di me, vengono pubblicate quelle foto, anche in Brasile, e non mi fa piacere. Ma se avessi pagato sarei stato male per sempre».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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