Milano - È ridisceso il grande freddo tra la diplomazia italiana e gli Stati Uniti. In Afghanistan s’intensifica la violenza, aumenta la tensione, le forze occidentali reagiscono agli assalti dei terroristi e Massimo D’Alema non spende una parola a favore delle truppe Nato. Non le attacca («Nessuno ha dato ordine di sparare sui civili, non ci sono comandi che ordinano queste cose») ma neppure le difende. Il ministro degli Esteri dice che la strage di civili a Jalalabad provocata dalla reazione americana «crea in noi grande turbamento», e lo crea «al di là degli aspetti giuridici perché sono rimasti uccisi molti innocenti». Appoggia la richiesta del presidente Hamid Karzai di «aprire un’inchiesta indipendente per appurare come sono andate le cose e chiarire le responsabilità». Ritiene che «la situazione sia molto preoccupante» perché «nei cittadini afghani si può diffondere un sentimento di ostilità verso i militari della Nato: questa sarebbe la più disastrosa sconfitta per noi, perché siamo lì per proteggere la popolazione».
«Tutto ciò richiede una riflessione molto seria - ha aggiunto D’Alema a Bruxelles al termine del Consiglio dei ministri degli Esteri Ue - su come stanno andando le cose e su che cosa si può fare perché possano migliorare. Ad esempio, non uccidere civili sarebbe un grosso passo avanti per contribuire a farle andare meglio». Preoccupazione e turbamento: sono questi i sentimenti su cui insiste il vicepremier. Ma l’escalation della tensione non influenzerà il voto del Parlamento italiano sul rifinanziamento della missione militare.
D’Alema lo dice apertamente in serata, arrivando alla cena di gala della fondazione Italia-Cina presieduta da Cesare Romiti. I giornalisti gli chiedono se la violenza crescente in Afghanistan potrà portare a ripensamenti sulla nostra presenza. «Che c’entra?», ribatte secco il ministro degli Esteri. «Sapevamo che c’era tensione. Siamo lì per cercare di superare le difficoltà e contribuire alla pacificazione del Paese».
La diplomazia italiana tenta di muoversi dunque in un solco strettissimo: «Rafforzare le istituzioni democratiche, che è lo scopo della missione internazionale in Afghanistan» senza però fare nessuno sconto sul comportamento delle forze di sicurezza. Il capo della Farnesina annuncia che il prossimo 20 marzo alla riunione dell’Onu sul rinnovo del mandato alla missione spiegherà che «l’Italia ritiene essenziale una conferenza per la pace dell’Afghanistan che coinvolga tutti i Paesi vicini e l’intera comunità internazionale».
Una posizione che dovrebbe tranquillizzare la sinistra radicale italiana. Ma D’Alema si spinge ancora oltre in questa direzione. E annuncia che il governo è disponibile a valutare l’ordine del giorno che sarà presentato da Rifondazione, Verdi e Rosa nel pugno per spingere la comunità internazionale ad acquistare l’oppio afghano da trasformare in farmaci (morfina e codeina). Ovviamente «il governo italiano non può decidere di comprare l’oppio: sarebbe una decisione illegale, visto che il governo afghano ne considera illegale la coltivazione e fa una campagna per distruggerlo».
Come un esperto equilibrista il capo della nostra diplomazia appoggia Karzai quando vuole indagare sulle truppe Nato, ma ne ostacola la battaglia contro i produttori di oppio se questo fa comodo all’ala radicale e antiproibizionista della maggioranza, cui il ministro degli Esteri tende una mano in vista del voto imminente sul rifinanziamento della missione. D’Alema non respinge l’ordine del giorno dell’estrema sinistra perché esso «propone di discutere in sede internazionale questa ipotesi». Idea che peraltro non è nuova: è stata suggerita da organizzazioni umanitarie e se ne è parlato anche all’Organizzazione mondiale della sanità. «Sarebbe la comunità internazionale, non i singoli governi in via unilaterale, ad acquistare parte della produzione di oppio per produrre medicinali».
A Bruxelles, dove ha incontrato il ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni, D’Alema ha parlato anche di Medio Oriente difendendo il governo che si sta formando in Palestina dopo l’accordo tra Hamas e Fatah: «È l’unica alternativa alla guerra civile».
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