da Roma
Motus in fine velocior, dicevano gli antichi, per spiegare che le cose precipitano allultimo minuto. Ed è proprio quello che succede anche nellUnione, sullAfghanistan in un susseguirsi di polemiche, ritrattazioni, annunci clamorosi. Rifondazione dichiara; il ministro smentisce; il Pdci minaccia; Rifondazione controsmentisce; altri deputati si dissociano. Ed infine Oliviero Diliberto spiega che il Pdci ancora non scioglie la riserva: «Decideremo in direzione».
Il risveglio di Russo Spena. Come in un copione già scritto, dopo una nottata di trattative insonni, e dopo lillusione di un accordo, allalba, improvvisamente crollano la maggioranza di governo e il suo fragile accordo sullAfghanistan. Prima di ieri gli uomini dellUnione erano andati a dormire confortati, dopo un vertice di governo che volgeva al sereno, e a mezzanotte Giovanni Russo Spena, capogruppo di Rifondazione annunciava addirittura soddisfatto: «Laccordo cè. Ci saranno tre-quattrocento uomini in meno, più aiuto ai civili, non cambieranno le regole di ingaggio, si va verso una exit strategy». Fantastisco. Solo che non era vero.
Doccia scozzese. Come in una commedia degli equivoci la tela tessuta di notte si disfaceva proprio ieri mattina quando il ministro degli Esteri Massimo DAlema, dalle colonne de Il Messaggero prima, e a seguire in un fiume di dichiarazioni successive, affermava esattamente il contrario: «LItalia non può avere una exit strategy in Afghanistan, è grave se non cè una maggioranza autosufficiente». Apriti cielo. Quanto basta per far saltare ogni mediazione. Protesta la capogruppo del Pdci, Manuela Palermi, laconica: «Non abbiamo raggiunto alcun accordo».
Gli otto «ribelli». È linizio di una valanga, e subito dopo pranzo otto senatori della sinistra radicale dellUnione annunciano: «Se le cose stanno così non voteremo il decreto sulla missione». Si tratta di Gigi Malabarba (vedi intervista), Claudio Grassi (minoranza della «destra» del Prc), Franco Turigliatto e Fosco Giannini (minoranza «sinistra» del Prc), di Mauro Bulgarelli, Loredana de Petris e Giampaolo Silvestri dei Verdi, di Fernando Rossi del Pdci. Subito dopo il partito di Diliberto pesta il piede sullacceleratore e ribadisce che è intenzionato a fare altrettanto. E qui inizia uno psicodramma che si chiude solo in serata ma con un filo sospeso. Prima parla il co-leader, Marco Rizzo: «Ribadiamo la necessità del ritiro». Poi, in serata, laggiustamento di Diliberto: «Il Pdci è sempre stato contrario alla missione a Kabul ma ha a cuore, senza alcun tentennamento, le sorti del governo Prodi». La direzione di sabato dunque diventa determinante: «Deciderà collegialmente - spiega il segretario - latteggiamento da assumere in ambito parlamentare per tenere insieme la più radicale critica alla missione e al contempo la salvaguardia più rigorosa dell'attuale quadro politico: respingendo qualunque sostegno interessato da parte di forze del centrodestra». DAlema ribatte: «Il ritiro non è nei programmi, e nemmeno nelle possibilità. Non si è parlato del numero dei soldati». Il verde Paolo Cento incalza: «Le parole di DAlema non aiutano». Insorgono Russo Spena e il capogruppo alla Camera, Gennaro Migliore: «Le parole di DAlema sono sorprendenti. Certo che si è parlato del numero dei soldati, è la cosa che ci sta più a cuore!».
Telefoni roventi. Inizia il tourbillon delle telefonate: sia Parisi che il ministro degli Esteri chiamano Diliberto per cercare una mediazione. DAlema da Berlino, dove si trovava ieri, ricorre al sarcasmo. «Ho partecipato a una riunione che si è conclusa con un accordo, poi ho letto che non era vero, ma mi fido di più dei miei sensi, del mio udito, degli appunti che ho preso che non dei giornali». Si cerca di mettere una pezza.
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