Afghanistan: le trattative di Roma ostacolano il rilascio

Per il ministero dell’Interno di Kabul i contatti paralleli creano problemi invece di risolverne

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da Kabul

Le autorità afghane hanno risposto ieri alle critiche del governo italiano sulla gestione del caso Cantoni, denunciando quello che definiscono il tentativo degli italiani di condurre negoziati paralleli con i presunti rapitori della cooperante milanese. «L’ambasciata d’Italia, senza informarci, ha stabilito dei contatti con i presunti rapitori. Pensiamo che questo genere di contatti non favoriscano la liberazione pacifica di Clementina Cantoni» ha dichiarato il portavoce del ministero dell’Interno afghano. «Suggeriamo quindi che questi contatti, d’ora in poi, passino per un solo canale, quello delle autorità afghane». Nel frattempo, ha assicurato il portavoce, i negoziati proseguono e «ogni giorno si registrano dei progressi». «Cerchiamo di trattare con i rapitori attraverso la mediazione di capi religiosi e capi tribù, che stanno spiegando ai sequestratori che questo rapimento non è soltanto contrario alle leggi afghane e islamiche, ma all’intera nostra cultura» ha detto il portavoce.
Il problema è che il capo dei sequestratori non si fida degli afghani e ha già tentato di contattare degli stranieri, probabilmente gli stessi operatori di Care, l’organizzazione umanitaria per cui lavora Clementina Cantoni, che mantengono uno stretto riserbo sulla vicenda. Nelle telefonate con il Giornale della scorsa settimana, Timor Shah aveva effettivamente espresso la volontà di aprire un canale diretto con la nostra ambasciata. «Posso mandare uno ”zio“ (un uomo di fiducia) a Kabul a negoziare a patto che non venga arrestato - aveva detto qualche giorno fa il bandito parlando dal telefonino di Clementina -. O posso far trattare con l’ambasciata una persona di mia fiducia detenuta dal ministero degli Interni». Dopo quest’ultima proposta il bandito non si è fatto più sentire e da due giorni il telefonino di Clementina è sempre spento.

In ogni caso dall’ambasciata a Kabul si faceva sapere, l’altro ieri, prima delle accuse degli afghani, che non c’era alcuna intenzione di aprire un canale negoziale parallelo a quello della autorità afghane, almeno per il momento.

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