Aforismi e solitudine. Chazal, il genio che si deve riscoprire

Nato a Mauritius, scrisse il capolavoro "Sens-plastique" nel 1947. Che adesso viene tradotto in italiano

Aforismi e solitudine. Chazal, il genio che si deve riscoprire
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Il 28 gennaio del 1971, sulla New York Review of Books, Wystan H. Auden, il patriarca della poesia inglese contemporanea, scrive di un libro di Emil Cioran, La caduta nel tempo. «I due autori più interessanti che scrivono in lingua francese», chiude Auden, perentoriamente, «sono Cioran e Malcolm de Chazal». Tutti sanno chi è Cioran tutti ignorano chi sia Malcolm de Chazal. Qualche mese dopo, Auden precisa il tiro. «Malcolm de Chazal è lo scrittore più originale emerso dal dopoguerra». Non è difficile capire il perché. Gli aforismi di Chazal sono cristalli lirici, dottori in voluttuoso ingegno. Esempi sparsi. «Le rose sono i denti da latte del sole». Oppure: «L'occhio è la più bella sala d'appuntamenti».

Nei suoi aforismi, spiazzanti «Una fiamma al vento è un ruscello volante» Chazal sembra ricapitolare il creato dandogli un nuovo senso. È un talento nell'arte delle corrispondenze: non a caso, era affiliato alla chiesa di Emanuel Swedenborg, il mistico svedese che vedeva angeli ovunque e diventò il guru di William Blake.

Cinque anni dopo gli articoli di Auden, Léopold Sédar Senghor, Presidente del Senegal, poeta ideologo della «negritudine» sbottò, «perché il Nobel si è dimenticato ancora una volta di Chazal?». Il Nobel, per inciso, era andato a Saul Bellow. Quanto a Chazal, fece di tutto per occultarsi.

Già, ma chi è Malcolm de Chazal? Nato nel 1902 a Vacoas, Mauritius, terzo di tredici figli, Chazal, nelle rare fotografie, mostra qualche somiglianza con Pessoa. La famiglia viveva a Mauritius da cinque generazioni: il capostipite, François de Chazal de la Genesté, cavaliere dell'Alvernia, rosacrociano, si era stabilito a Mauritius allora Île de France nel 1763. Figlio di possidenti, Malcolm seguì il fratello più grande, inviato a studiare a Baton Rouge, Louisiana. Lì, Chazal finisce il liceo e diventa ingegnere agronomo. Il primo impiego, a Cuba, non lo soddisfa, così torna in patria. L'oligarchia industriale di Mauritius lo irrita. A 35 anni, Chazal trova lavoro nel dipartimento pubblico per la telefonia e l'elettricità, a Port Louis. Fa il funzionario. La paga è misera. «Ho fatto di tutto per dimostrare la mia incapacità», scriverà nella sua Autobiographie spirituelle.

Nel 1940 esce la prima raccolta dei Pensées in sei anni, Chazal verga oltre cinquemila aforismi raccolti in dieci libri. È una specie di invasione del verbo, di morbo poligrafico. Ad accorgersi di lui è Jean Paulhan, che nel 1947 fa pubblicare da Gallimard il capolavoro di Chazal, Sens-plastique (edito da Magog come Plastica, traduzione di Maura Baldini; pagg. 260, euro 18,00; si trova a partire da qui: www.pangea.news/negozio). La prefazione di Paulhan è limpida: «Quest'arte merita il nome di genio»; seguono gli omaggi di Breton e delle falangi surrealiste. Georges Bataille, Francis Ponge e Georges Braque inneggiano a Chazal, usando come stemma uno dei suoi più callidi aforismi: «Il poeta può fare tutto, soprattutto l'impossibile».

Tuttavia, Chazal è un carattere impossibile. Rifiuta di lasciare la sua isola per Parigi; cinge la sua opera di pensieri al limite dell'enigma. Pubblica a getto continuo nel 1952 stampa undici fascicoli con tipografie di second'ordine. Vive nella casa del fratello, a Curepipe, fa lunghe passeggiate nel giardino botanico.

In un ironico decalogo su Come diventare un genio, scrive, «Temi la felicità, il lutto della gioia». Chazal: un Gómez Dávila sotto effetto di mescalina. Chazal muore il primo ottobre 1981. Disegnava fiori che sembrano leoni.

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