Le agenzie di viaggio dei clandestini

Paolo Sarpi, provincia dello Zhejiangh. Milano, Cina. Negozi e ristoranti cinesi, la faccia «in chiaro». E cinesi gli alberghi, i «bordelli» e le agenzie di viaggio. Ma di questi non c’è indirizzo, né telefono o ufficio. Eppure esistono. E fanno affari.
La Chinatown che non vedi è nelle informative della Squadra Mobile, dei carabinieri e della polizia locale. Materiale che ha arricchito le ultime inchieste della Procura sulle organizzazioni criminali di matrice asiatica. E che, ancora una volta, hanno come epicentro il reticolo di strade attorno a Paolo Sarpi. Un flusso continuo di clandestini. Secondo gli inquirenti, un «contrabbando di migranti».
Nulla è lasciato al caso. Partenza e arrivo, documenti falsi, alloggi e lavoro. Tutto sotto traccia. She Tou, si chiamano gli specialisti di queste agenzie invisibili. Hanno base in Paolo Sarpi, referenti in Cina e - annotano gli investigatori - qualche «entratura» negli uffici consolari. «Rimane in ombra - annotano infatti - il meccanismo che consente agli She Tou di ottenere visti turistici e visti per falsi viaggi aziendali in molti casi palesemente ingiustificati».
Chi vuole arrivare in Italia ha il suo primo contatto in Cina. Pattuisce una cifra, anche 20mila euro per un «pacchetto» completo, da pagare in due rate. Una a Pechino, dove si occupano dei visti d’uscita, e una a Milano per ottenere i documenti falsi. Lo «sbarco» è in Stazione Centrale, e immediato il trasferimento nel quartiere asiatico. Via Aleardi, Rosmini, Canonica, Alfieri, Paolo Sarpi. È la rete dei Ta-Pu, gli alberghi provvisori in cui vengono raccolti i nuovi immigrati. Anche 25 persone in un appartamento. Letti a castello e materassi a terra. Di controlli, le forze dell’ordine ne hanno fatti diversi. E, ogni volta, la stessa scena. Decine di posti letto, bagagli, cittadini cinesi ammassati in pochi metri quadri.
Ma gli She Tou sanno fare affari. Così, alcuni di questi «alberghi» diventano case d’appuntamento. In una telefonata intercettata dagli investigatori, due indagati convengono che «le prostitute cinesi interessano agli italiani», e decidono di cambiare la destinazione d’uso di alcuni alloggi. Basta una percentuale sulle prestazioni sessuali, ed è un nuovo business per il gruppo criminale.
Un altro capitolo è quello del lavoro nero. Per vivere - e saldare il debito con l’organizzazione - bisogna guadagnare. E le «imprese» sono sotto casa.

«I clandestini - scrivono ancora gli inquirenti - vengono tutti impiegati in laboratori e magazzini della zona», e anche in questo caso gli She Tou non lasciano nulla al caso, «svolgendo un ruolo di intermediazione». E pazienza se più che di lavoro si tratta di sfruttamento. Così, al telefono, si organizzano. «Di che si tratta?». «Deve lavorare con i vestiti. Tagliare, cucire». «Quanto?». «Per molte ore al giorno».

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