di Tony Damascelli
Qualcuno potrebbe suggerire a John Elkann di traslocare la strategia di Marchionne nel calcio. Così da avere lo spin off della Juventus, lo scorporo del club, da una parte la società che si muove nel campo dellintrapresa, il nuovo stadio, il marketing, la comunicazione, con i logici profitti; dallaltra la squadra di calcio, con un suo destino autonomo, una gestione e un portafoglio indipendenti, entità distinte e parallele sotto la stessa insegna. La provocazione è tale fino a un certo punto perché a Torino esistono due realtà davvero diverse, la cronaca e la storia e non si muovono alla stessa velocità. In cinque stagioni, quelle successive a calciopoli, la Juventus ha speso duecento milioni di euro per portarsi in casa in ordine sparso, Tiago, Almiron, Boumsong, Iaquinta, Andrade, Sissoko (che ieri si è ribellato a Marotta: «Non sono una merce», ha detto), Grosso, Melo, Diego, Poulsen, Amauri, Pepe, Aquilani, Storari, Motta, Traorè, Martinez, Krasic, Bonucci, Rinaudo, Quagliarella (alcuni di questi vanno riscattati, Aquilani e Quagliarella sfiorano i 30 milioni di euro) senza contare il caso di Cannavaro al quale, si è scoperto per ammissione del calciatore, è stato garantito e sottoscritto un contratto da dirigente.
A questa fotografia di gruppo va aggiunto che la Juventus in cinque stagioni ha avuto sei allenatori (Deschamps, Corradini, Ranieri, Ferrara, Zaccheroni, Delneri), tre presidenti (Cobolli Gigli, Blanc, Agnelli), quattro responsabili di mercato (Secco, Bettega, Blanc, Marotta), ha mutato i membri del consiglio di amministrazione ma, ancora dopo le due ultime sconfitte, quelle di inizio del 2011, ha ribadito, per bocca del presidente Agnelli e dellallenatore Delneri, che questo sarà un anno di transizione, che il progetto deve fare i conti con le economie e che, in fondo, la società ha acquistato dodici calciatori nuovi, dunque londa di assestamento era prevedibile. Chi si era esaltato, per voce e per scritto, dopo la vittoria allultimo secondo sulla Lazio, annunciando che la Juventus era risorta, era squadra, era gruppo, oggi strilla e denuncia la crisi se non la fine della leggenda juventina.
Delneri non è il solo responsabile, Marotta con lui, ma entrambi non hanno capito che cosa significhi guidare un club e una squadra come la Juventus, non lo ha capito John Elkann che ha altre priorità ma se la Fiat ha trovato in Marchionne il manager capace di cambiare la storia dopo il tracollo (cè anche molta propaganda) la Juventus è ancora alla ricerca degli uomini e del tempo perduti. Nessuna nostalgia del passato, nessun desiderio di ripresentare personaggi e interpreti della storia recente, qui non è il caso di rilanciare Giraudo e Moggi, anche se Bettega ha avuto il coraggio di riprovarci da solo. Ma chi regge la Juventus dovrà decidere: o mettere in vendita il club, come è accaduto per altre grandi realtà calcistiche italiane e straniere, oppure investire, cioè spendere, con maggiore perizia, discorso difficile per chi è abituato a frequentare gli outlet di provincia.
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