È possibile che un paziente psichiatrico fuori controllo venga lasciato libero di muoversi all'interno dell'astanteria di un pronto soccorso, di impadronirsi di una ragazza fragile e provata e di portarla con sé in una stanza, abusandone in modo tale da ridurla alla disperazione? C'è anche questa domanda dentro l'indagine avviata dalla Procura di Lodi sulla tragica fine della ventiduenne lanciatasi martedì sera dal sesto piano dell'ospedale di Vizzolo Predabissi. Se la colpevolezza dell'uomo per lo stupro della ragazza sembra quasi assodata, le domande sul contesto in cui è avvenuta la violenza e sulla tragica conclusione della vicenda sollevano dubbi sull'adeguatezza dei controlli in una struttura delicata come un pronto soccorso.
I segnali d'allarme, d'altronde, c'erano. L'uomo, un magazziniere di 28 anni, arriva lunedì in ospedale in condizioni disastrate, ubriaco e forse dopo avere assunto sostanze stupefacenti: è l'ultimo passaggio di una vita ai margini, in cui anche il padre ieri spiega di non riuscire più da tempo ad avere rapporti col figlio, che non gli risponde neanche al telefono. Nel pronto soccorso la sua strada incrocia quella della ragazza, mentalmente fragile e anche lei con un passato complicato, fatto di tensioni e scontri («ma non risultano abusi», spiegano gli inquirenti) con la famiglia di provenienza. Ci sarebbero tutti i motivi per tenere i due a distanza di sicurezza. Invece lui la avvicina, le parla, e approfittando del suo stato di fragilità la convince a seguirlo nella stanza. Lì si consuma la violenza, che appena ripresasi dallo choc la ragazza denuncia ai carabinieri di guardia, che bloccano l'uomo.
Ora l'indagine del procuratore Maurizio Romanelli punta a ricostruire quanto accade dopo, lungo tutta la giornata di martedì, nelle ore in cui la ragazza - dopo avere firmato la denuncia, intorno all'una di notte - affronta la routine delle visite ginecologiche e psicologiche sia alla Mangiagalli di Milano che a Vizzolo, e viene interrogata nuovamente dai carabinieri mentre viene destinata a un nuovo reparto di degenza in attesa della possibile presa in carico da parte dei servizi sociali. Una giornata abbastanza piena, in cui molti hanno a che fare con lei senza però percepire segnali di pericolo imminente. Ma poi arriva la sera, la giovane resta da sola. E si ammazza.
Ieri il giudice preliminare convalida il fermo dell'uomo e lo mette agli arresti domiciliari per impedirgli di tornare a delinquere visto che «come ampiamente emerso nelle indagini e ammesso dallo stesso indagato in sede di interrogatorio, è costantemente dedito all'assunzione di droghe e alcol, in conseguenza della quale perde i freni inibitori». Per ora l'accusa a suo carico è di violenza sessuale, ma non è escluso che possa venire chiamato a rispondere anche della morte della ragazza, se - come appare verosimile - lo stupro subito la notte precedente ha avuto un ruolo determinante nello spingere la vittima a suicidarsi.
Ma prima di formulare anche questa accusa gli inquirenti lodigiani dovranno ricostruire al meglio sia il profilo psicologico della vittima sia i contatti avuti nelle ore successive allo stupro (per questo il suo telefono è stato sequestrato e analizzato). Un lavoro di scavo delicato e doloroso, ma altrettanto doveroso.
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