da Roma
Un grande avvenimento istituzionale. Un dilemma eternamente irrisolto. Sembra che la grande figura, e più ancora la tragica fine di Aldo Moro, fatalmente continuino ad evocare entrambe queste realtà. Così lattesa miniserie Mediaset Aldo Moro - il presidente - in onda il 5 e 6 maggio su Canale 5 - da una parte è stata solennizzata, ieri a Roma, con la presentazione presso la Fondazione della Camera dei Deputati, alla presenza del presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, e di Pier Ferdinando Casini; ma dallaltra tormentata dalle polemiche innescate dai familiari dello statista e dei suoi agenti di scorta, rifiutatisi di presenziare alla proiezione pubblica nel timore di vedere esposto e «pubblicizzato» il loro dolore. «Sono dispiaciutissimo di quanto è accaduto - scuote la testa il regista della fiction, Gianluca Maria Tavarelli - telefonerò ai parenti delle vittime per scusarmi personalmente e a nome del produttore, Pietro Valsecchi. Noi tutti abbiamo lavorato col massimo rispetto per chi è morto e per chi ne ha sofferto. E sono certo che, dopo aver visto la fiction, anche i familiari di Moro si renderanno conto di quanto affetto ci abbiamo messo dentro».
Costruito con la massima aderenza alle risultanze processuali sul caso Moro, cercando cioè dimporsi unoggettività che prescindesse dalle innumerevoli ipotesi che ancora ruotano sugli aspetti meno chiari della vicenda, «Aldo Moro è tutto poggiato su fatti certi, lasciando le porte aperte alle ambiguità - spiegano gli sceneggiatori Marcarelli e Piccolo -. Inoltre abbiamo cercato di raccontare anche le responsabilità palesi, le inettitudini e le incapacità di uno Stato del tutto impreparato davanti ad una simile tragedia». Solo quattordici anni aveva Gianluca Maria Tavarelli, quel 15 marzo del 1978: «Ma anchio, come tutti, ricordo dovero quando accadde il rapimento. Dirigere questa fiction, quindi, è stato per me un viaggio alla scoperta della verità. Una verità parziale, certo, ma autentica, senza pregiudizi. E guidata soprattutto dalla volontà di capire». «In questo caso la Tv privata ha fatto servizio pubblico - sottolinea Fedele Confalonieri - compiendo, attraverso la ricostruzione filologica del periodo, unopera di divulgazione storica». Michele Placido, intenso e sofferto interprete, ha confermato che «vivendo lattore di emozioni, questa emozione è stata per me enorme. Ricordo daver visto Aldo Moro quando avevo solo 5 anni: venne a visitare la sede dellAzione cattolica guidata da mio padre. Quando lo rapirono avevo 30 anni. Per me, e per tutti quelli della mia generazione, la sua figura ha sempre evocato quella del padre». Anche per questo la dimensione del personaggio che più ha coinvolto lattore, è stata quella umana: «Ci tengo a ricordare che Aldo Moro è stato un martire. E che della sua fine si parla troppo poco come di un martirio».
La fonte di ispirazione principale per il protagonista sono state, naturalmente, le lettere scritte dal carcere delle Br. «Un documento da cui esce fuori un gigante. Un uomo che affrontando la morte con dignità, e non affidandosi più agli uomini, e alla fine nemmeno più al Papa, rivela il suo misticismo assoluto. Non so quanti altri politici avrebbero dimostrato, nella stessa situazione, unuguale statura umana e una medesima forza morale». Alcuni osservatori hanno notato che alla fine della proiezione nessuno dei politici della Prima Repubblica presenti (Andreotti, Colombo, Forlani, Signorile) ha applaudito. «Ma paradossalmente proprio il politico che abbiamo trattato peggio, e cioè Francesco Cossiga, ha avuto verso questa fiction un atteggiamento molto costruttivo - rivela il regista -. Ha avanzato solo minime critiche e non ha chiesto nessun taglio, riscontrando molte analogie fra la rappresentazione dei fatti e la realtà».
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