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Ai musulmani di Francia ora questa Europa piace

Voci da Marsiglia: «Non abbiamo paura, i turchi non ci porteranno via il posto di lavoro»

Caterina Soffici

nostro inviato a Marsiglia

Nourridine Haijli ha la madre algerina e il padre olandese. Musulmano, venticinque anni, è nato in aereo, volo Algeri-Marsiglia, ma è francese a tutti gli effetti. Si guadagna da vivere servendo pastis e bouillabaisse in uno dei tanti ristoranti lungo le banchine del vecchio porto. Come la metà degli immigrati di Marsiglia (quelli che hanno la cittadinanza) ha trovato nella buca delle lettere il testo della Costituzione europea spedito dal governo con discorsino di Chirac. Ovviamente non l'ha letto, non andrà a votare per il Referendum del 29 maggio, ma legge i giornali, guarda la televisione e si è fatto un'idea: «L'Europa non è un male, non credo che porterà via lavoro a noi francesi. Io non ho paura se arrivano i turchi».
Sembra strano, eppure Nourridine non è l'unico a pensarla così. I musulmani in Francia sono divisi. E, anche se non esistono sondaggi sulle intenzioni di voto in base al paese di origine perché contrari al principio di uguaglianza, la comunità musulmana è più favorevole al sì che al no. La maggior parte delle organizzazioni musulmane sono informalmente favorevoli al Referendum e sebbene non abbiano preso una posizione ufficiale, il presidente del Consiglio francese per la religione islamica Dalil Boubakeur ha detto pubblicamente che il 29 maggio voterà sì. Anche molti alti papaveri dell'Unione delle organizzazioni musulmane in Francia sostengono la Costituzione. «A livello strategico un'Europa unita sarà più forte per resistere allo strapotere americano» ha detto a Le Monde la settimana scorsa Boubaker El Hadj Amor, uno dei capoccioni dell'Organizzazione. «Molti cittadini di origine nordafricana vedono in un'Europa più forte un difensore del multilateralismo e un fattore importante nella lotta alle disuguaglianze tra Nord e Sud del mondo».
Belle parole, forse un po' troppo entusiastiche. Dice Monique Beltrame, del Comitato europeo di Aix e Marseille: «La differenza non la fa se sono musulmani o francesi, ma se hanno un lavoro o se sono ai margini della società. Come nel resto della Francia anche in Provenza i disoccupati e i giovani voteranno no, indipendentemente del colore della pelle. È un no contro la liberalizzazione e la delocalizzazione. Invece molti immigrati di seconda generazione guardano alla Costituzione come a un'opportunità di integrazione in più. Sperano che diminuiscano le discriminazioni verso di loro, perché si basa sui diritti della minoranze e sulla libertà religiosa». E questa della libertà religiosa in Francia è una questione molto sentita. La proibizione del velo in nome della laicità dello Stato è fortemente contestata dai capi della comunità islamica. A Marsiglia, per esempio, con il nuovo anno scolastico nascerà un liceo dove i giovani musulmani potranno affermare la propria identità religiosa.
Marsiglia è un ottimo punto d'osservazione degli umori e dei malumori. Seconda città francese e più grossa città araba d'Europa, Marsiglia è la porta del Mediterraneo e specchio della sporca coscienza coloniale francese. Qui abitano 120mila immigrati: marocchini, algerini ma anche tanti pieds-noirs. Attraverso il ventre molle di questa magmatica «capitale del sud», dei suoi palazzi scrostati e disabitati, delle sue strade sporche e delle sue banchine luride, il vero sentimento francese erutta senza le mediazioni intellettuali parigine e le chiacchiere dei sociologi. Questo porto, il primo del Mediterraneo, che sta uscendo lentamente da una lunga crisi, è la vitale avanguardia di tutti i problemi della Francia. Qui tutti i mali sono più gravi: la droga, l'Aids, la disoccupazione, la delinquenza, la corruzione, il clientelismo.
Marsiglia è anche la città che ha vissuto sulla propria pelle la dissoluzione dell'impero. Con la fine della guerra di Algeria sono sbarcati su questi moli un milione di coloni rimpatriati, gente arrabbiata che si è ricreata a fatica una nuova vita, piccola borghesia senza spirito d'iniziativa che ha visto svanire i redditi da impiego pubblico e si è data al piccolo commercio. I più ricchi vivono in piccoli villini, la maggioranza in grandi palazzoni che scimmiottano la Citè Radieuse di Le Corbusier, ovvero la «Unité d'habitation n.1», esperimento abitativo voluto dal ministro della ricostruzione nel 1947 e consegnato ai marsigliesi nel 1952. Adesso i pilastri di cemento armato sono un po' malandati, ma il casermone spicca per genialità nella desolata e massacrata periferia.
La parte vecchia della città è una vera casbah. Gli immigrati vivono nei loro ghetti, la divisione tra quartieri (etnici e non) è nettissima. Nei vicoli di Belsunce, zona araba tra il porto e la vecchia stazione di Saint Charles, i tabaccai hanno i narghilè in vetrina, le donne camminano con il velo. È un vero suk con mercato permanente sui marciapiedi pieni di bancarelle che vendono povera merce, ciabatte di plastica da un 1,5 euro al paio e tappetini sintetici finto persiani per la preghiera. Però c'è puzza d'aglio e non di spezie, e i giovani non portano tuniche ma scarpe Nike, canottiere e pantaloni traslucidi firmati Adidas. È la globalizzazione, che bene o male smussa le differenze. E anche Nouriddine il cameriere quando non lavora frequenta i bar del centro, dove si suonano reggae e rap e si beve birra fino a notte fonda. Appena avrà abbastanza soldi vuole comprarsi la macchina. Lui, come tanti altri giovani che hanno un lavoro, è abituato ad arrangiarsi.
A queste ondate di arrivi i marsigliesi hanno fatto il callo. Negli anni Venti e Trenta era stata la volta degli italiani, poi sono sbarcati i magrebini, adesso si aspettano turchi e romeni. Se sei in fondo alla coda e arriva un polacco, ti farà guadagnare dei posti o ti passerà avanti? Qui è sempre stato che l'ultimo dei poveracci aspetta il suo turno. Forse per questo il contrasto è meno netto che in altre città europee, per esempio Amsterdam, dove gli islamici sono veramente un mondo a parte con il resto della popolazione. Non che Marsiglia sia un modello di convivenza, ma un secolo di melting pot li ha resi molto più impermeabili se non tolleranti.
Turchi o non turchi, la città, e con lei tutta la regione Provence-Aix-Cote d'Azur (Paca), è comunque un pentolone in ebollizione. Guadagnano poco (il reddito medio annuo è di 13mila l'euro contro i 21mila di un parigino), con il 15 per cento ha uno dei più alti tassi di disoccupazione di tutta l'Europa e il malcontento è sfociato nelle presidenziali del 2002 dove il Fronte nazionale di Jean-Marie Le Pen ha fatto il pieno di voti arrivando, in certe zone, al 30 per cento. Qui, nel 1992 il referendum sulla ratifica del trattato di Maastricht ha ricevuto il più alto numero di «No» che in tutto il resto della Francia. Però questa volta il voto non è scontato, anche se i sondaggi (come ovunque) danno i contrari in vantaggio.
Jean-Claude Gaudin, ex ministro e sindaco della città dal 1995, è l'uomo di Chirac nella regione. È anche il presidente di Euromed, l'organismo pubblico nato dieci anni fa per il rilancio della città, quando il governo decise che Marsiglia era un'emergenza nazionale e stanziò 370 milioni di euro per opere pubbliche e per il recupero delle aree più degradate e ad alta concentrazione di microcriminalità. Su questa linea si decide di fare arrivare il Tgv a Marsiglia: dalla Gare de Lyon a Saint Charles si attraversa velocissimi tutta la Francia da Nord a Sud in tre ore. Dal 2001 i professionisti parigini stanno comprando case per il weekend e la marina è piena di barche da diporto. I prezzi immobiliari infatti sono saliti del 15 per cento e molte villette sul mare sono in ristrutturazione. Ma il grande progetto pubblico stenta a decollare: qualche area è stata recuperata, gli autobus però latitano e il traffico è una caotica e continua coda di strombazzamenti. Quando poi gioca l'Olympique è meglio non uscire di casa.
Il sindaco Gaudin fa campagna per il sì. Anche in funzione antilepenista. Perché nessuno qui dimentica gli anni di «Lepenandia», quando il Fronte nazionale conquistò quattro città (Tolone, Marignane, Vitrolles e Orange). Nessuno dimentica l'uscita del sindaco xenofobo di Vitrolles, madame Mégret, che annunciò una sovvenzione di 5.000 franchi (750 euro di oggi) per ogni figlio «nato da genitori europei». E neppure il caso di Orange, dove fu riportata in pompa magna nel centro della città la statua, dimenticata in un parco di periferia, di uno sconosciuto eroe locale distintosi nella caccia ai Saraceni nella crociata del 1096. Per l'occasione fu organizzato anche un banchetto aperto a tutti i cittadini.

Dove però si serviva solo carne di maiale.
(4-Continua)

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