Airbus, ipotesi attentato: i rottami nell'Atlantico

Una task-force internazionale per setacciare l’area dell’impatto. Gli esperti: "Un evento eccezionale". L'esplosione resta la pista più attendbile. La risposta nelle scatole nere

Airbus, ipotesi attentato: i rottami nell'Atlantico

Mercantili, navi militari, elicotteri, persino gli aerei spia americani: è una task-force internazionale quella che in queste ore sta incrociando nell’Atlantico meridionale alla ricerca dei rottami dell’Airbus francese precipitato nella notte di domenica. È una corsa contro il tempo. Non perché ci siano speranze ragionevoli di salvare qualcuno dei 228 passeggeri. Ma perché più scorrono le ore più scemano le possibilità di recuperare le due scatole nere dell’apparecchio Air France. E - questo ormai appare chiaro - se non si trovano le «scatole», la fulminea dissoluzione in volo dell’Airbus rischia di restare per sempre un mistero.

Nel buio totale, nell’assenza di spiegazioni ragionevoli del silenzio improvviso dei piloti del volo AF447 Rio-Parigi, si fa difficile scartare dal novero delle ipotesi quella di un attentato. «Non possiamo escludere un gesto terroristico - dice il ministro della Difesa francese Hervé Morin - d’altronde tutti sanno che questo è il pericolo maggiore per le democrazie occidentali». «È noto che all’aeroporto di Rio i controlli di sicurezza non sono affatto impeccabili», fa eco un pilota Air France riportato dal sito del Figaro. Certo, manca una rivendicazione. Ma si può ricordare che due drammi del cielo sicuramente dovuti al terrorismo non sono mai stati rivendicati. Uno dei due (l’altro è quello di Lockerbie, 1988) ebbe per vittima proprio un aereo francese, disintegrato da un’esplosione nel cielo della Nigeria nel 1989.

Così, in queste ore, gli 007 francesi dello Sdece stanno attivando a tappeto le loro «fonti» nelle zone calde del mondo, e lo stesso stanno facendo gli altri servizi segreti occidentali. Perché fino a quando elementi concreti non diranno che è stato un incidente, l’ipotesi bomba non potrà essere archiviata.

Il problema è che i primi ritrovamenti dicono che l’area in cui si devono cercare le tracce è assai vasta. I primi avvistamenti di resti dell’Airbus avvengono ieri mattina, quando dei rottami in fiamme vengono segnalati 650 chilometri a nord dell’arcipelago di Ferdinando de Noronha. Si tratta di poltroncine e di chiazze di cherosene, distanziati tra loro anche sessanta chilometri, in una zona segnata da forti correnti est-ovest. Le scatole nere sono lì, da qualche parte, intorno ai 4.500 metri di profondità. Per un mese continueranno a mandare segnali, e si potrà cercare di recuperarle. Poi si azzittiranno, e insieme a loro l’oceano rischia di inghiottire per sempre la verità sulla tragedia.

Così, nell’attesa che il bip-bip delle due scatole si faccia sentire, si può fare poco altro che affastellare ipotesi. La prima tesi, quella del fulmine, ieri viene quasi maltratatta dagli esperti, che ricordano come l’ultimo caso al mondo di aereo abbattuo da un fulmine risalga al 1963 e che da allora sono stati adottati rimedi talmente efficaci che oggi un aereo viene attraversato da un fulmine mediamente ogni 1.000 chilometri di volo senza che i passeggeri se ne accorgano. L’idea di un corto circuito che avrebbe mandato in tilt il sistema elettrico - e che spiegherebbe l’improvviso silenzio dei piloti, dopo il messaggio delle 23 sull’attraversamento di una turbolenza - si scontra con quanto spiegano i veterani di questo tipo di Airbus, «ci sono cinque sistemi elettrici differenti e indipendenti, e per impedire di governare l’aereo e di comunicare via radio dovrebbero andare in tilt tutti e cinque insieme». E così, nell’assenza di risposte, c’è persino chi avanza l’idea che siano esplosi chissà perché i finestrini della cabina di pilotaggio, mettendo fuori servizio i piloti e provocando la rapida depressurizzazione dell’apparecchio.
Insomma, ci vorrà tempo e soprattutto fortuna perché le famiglie delle 228 vittime abbiano delle risposte.

Per ora, possono ragionevolmente credere che i loro cari siano morti molto in fretta, senza quasi rendersene conto. Ma perché l’Airbus sia precipitato da diecimila metri nell’Atlantico, mentre attraversava i cumulonembi più alti del pianeta non lo sanno, e chissà se lo sapranno mai.

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