Aiuto, la squadra non rende? Facciamo rendere i bond

Raramente capita che una squadra di calcio riesca a guadagnarsi le prime pagine dei quotidiani economici, tuttavia in questo caso l’onore è spettato al Manchester United, che il Financial Times ha segnalato come interessato all’emissione di un’obbligazione per la bellezza di 700 milioni di euro. La cifra è di quelle che impongono rispetto: tanto per capirci il valore di borsa totale delle tre società italiane quotate (Juventus, Roma e Lazio) non arriva alla metà del previsto importo del «Manchester bond». Passare dalle pagine rosa dei giornali sportivi a quelle color pesca dei quotidiani economici in questo caso costituisce tuttavia un onore dubbio, perché la mossa del club britannico appare di quelle disperate. In pratica il tentativo è quello di restituire soldi alle banche, sempre più nervose, sostituendo i loro finanziamenti con le somme versate dagli speranzosi sottoscrittori delle obbligazioni, che, di fatto, presterebbero soldi al club schiacciato dai debiti.
Eh, sì, perché i debiti sono il letto di chiodi su cui sta dormendo ormai da tempo il calcio europeo, e questi non sono più tempi di credito facile, di sorrisi e di champagne in tribuna. La Premier League inglese, ad esempio, riposa sull’iperbolica cifra di 3,5 miliardi di euro di conti da pagare, di cui la parte del leone la fa proprio il Manchester, che venne acquistato «a debito» dall’attuale proprietario con un’operazione da quasi un miliardo di euro, allora gentilmente fornito da quelle stesse banche che adesso stazionano davanti all’ufficio dei Reds tamburellando nervosamente sulla valigetta piena di pagherò. D’altra parte il fatto che sulle maglie del glorioso club inglese campeggiasse, come sponsor principale, il marchio del colosso assicurativo AIG, miracolosamente salvato dalla bancarotta dai capitali del Tesoro americano (e in America si chiamano questi denari con il loro nome: «soldi dei contribuenti») non aiuta certo a vedere rosa. Non sono molto diversi comunque i conti del Chelsea, anche per i londinesi i debiti puntano pericolosamente verso il miliardo di euro: finora nessun problema, il miliardario russo Abramovich ha sempre garantito tutto e alla fine dell’anno scorso ha azzerato i debiti mettendo mano al portafoglio. Ma la volta che si dovesse stancare di firmare assegni cosa accadrebbe? Anche in Spagna la Liga dovrà prima o poi restituire più di tre miliardi di euro, con ovviamente il Real Madrid che guida la classifica, seguito a breve distanza dal sorprendente Valencia. In Germania, il Bayern annuncia austerità: la squadra della Bundesliga tedesca si prepara a ridurre gli stipendi dei propri giocatori (Ribery escluso) perché «i calciatori non devono pensare che ogni rinnovo del contratto significa automaticamente più soldi».
E da noi? In Italia come al solito le stampelle non mancano mai: i conti delle società di casa nostra sono stati «drogati» da leggi ad hoc che hanno evitato per molti club lo spettro del fallimento; in altri casi ci hanno pensato le solite tasche a metterci una pezza, vedi l’ormai abituale assegno dei Moratti che, per adesso, continuano a riversare nel buco nerazzurro dell’Inter gli utili del petrolio della loro Saras, o vedi l’ultimo ripianamento di Berlusconi per le casse del Milan, accompagnato da un messaggio piuttosto chiaro: «Ora basta».
Lo scudetto dei debiti di Serie A al momento è comunque saldamente cucito sulle maglie della Roma, dato che gli impegni per i soldi allegramente anticipati da Capitalia adesso, dopo la fusione tra le due banche, sono sulla scrivania del meno sportivo Unicredito Italiano, che gradirebbe rivederli.
Il fatto è che il calcio non è mai riuscito a dimostrare di essere un affare profittevole e ogni volta che si sono tentate manovre di finanza «tradizionale» ne sono venuti solo pasticci, alcuni non ancora del tutto sbrogliati come l’ultimo aumento di capitale della Lazio.

Finché ci saranno ancora persone disposte a mettere soldi a fondo perduto nei club per passione o per ritorni di immagine o popolarità capiterà che chi volesse invece «giocare secondo le regole» economiche, che impongono di spendere solo quello che si guadagna, non sarebbe competitivo e si ritroverebbe una squadra perdente... E chi vuole investire in una società che perde? Nessuno.
Buona fortuna quindi al Manchester per la sua obbligazione, ma il paradosso del calcio post bolla del debito è tutto qui.

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