Quando Massimo Cacciari sinfervora, avvertendolo per lennesima volta che «è inutile dire io sto di qua e tu di là», Gabriele Albertini fa con la testa un movimento strano, che qualcuno potrebbe legittimamente interpretare come un annuire, ma qualcun altro no. «Basta Gabriele!», gli intima solo qualche secondo dopo il barbuto ex sindaco di Venezia. Ed è proprio un destino, il loro: sarà che lui lo chiama con deferenza «maestro», ma ogni volta che Cacciari mette piede a Milano a Gabriele Albertini tocca sorbirsi rimproveri e lezioni centriste. Non bacchettate da scolaretto cattivo, piuttosto ramanzine da allievo inconcludente. Restare nel Pdl oppure no? Questo è il suo amletico dilemma. Era già accaduto a novembre, quando una possibile candidatura «terzista» dellex sindaco di Milano teneva la politica cittadina col fiato sospeso; si è ripetuto ieri, quando Albertini - che fino a prova contraria è ancora un deputato europeo del Pdl, è andato a presenziare - fra grandi complimenti, accolti con malcelata vanità - alla kermesse elettorale dello schieramento avversario, quel Nuovo polo di Manfredi Palmeri che in un hotel del centro ha riunito rutelliani e neo-antiberlusconiani di Fli. Dunque se quel giorno, al teatro Parenti, era andata in scena linfinita attesa di un «Godot» tutto intento a spiegare che «oggi non verrà, ma che verrà domani», la rappresentazione vista ieri è invece la tragedia di un uomo indeciso, tutta recitata sul registro del «vorrei (aderire) ma (ancora) non posso», e giocata su evocazioni, mezze parole e piccoli gesti. Come il pasticcio dei «cavalieri», vale a dire i portanome da tavolo. Trattandosi di incontro elettorale, lorganizzazione li aveva diligentemente predisposti col simbolo politico accanto ai nomi dei relatori. Tutti. Ovviamente anche il suo. E così si è assistito alla scena dellex sindaco che ha estratto il foglietto per ripiegarlo nascondendo il logo altrui (avversario) e affannandosi a spiegare che «sono qui come amico», «simpaticamente vicino». Gesti e parole inutili, quando poi è il lapsus che tradisce: «Ufficialmente ho ancora la tessera del mio partito, la 216» dice. E quando prevede: «Vince sicuramente la Moratti» diventa una constatazione amara, condita da auspici un po sibillini su una nuova leadership «anche nazionale». Cacciari daltra parte svela, se ce ne fosse bisogno, che la candidatura di Albertini a novembre non cè stata perché «il Pd ha rifiutato».
Ma la manifestazione è tutto un concerto anti-berlusconiano e anti-leghista. Gli Udc non si fanno vedere. E gli acuti dei finiani sono subito stecche. Tanto che quando il pasdaran Italo Bocchino - peraltro accolto tiepidamente anche in casa sua - deve bocciare anche Giuliano Pisapia (oltre alla Moratti) per pareggiare i conti e rimangiarsi la preferenza accordata il giorno prima al candidato della sinistra (in caso di ballottaggio), va fuori misura anche lì, e lo liquida in un modo così poco elegante da far arrossire il più acerrimo tifoso morattiano («è solo il figlio di...» - dice il braccio destro di Gianfranco Fini - alludendo al padre di Pisapia, un esimio giurista).
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