Via Alcuino

Quando i poliziotti lo hanno bloccato, all’interno del cortile della sua scuola, aveva 62 grammi di hashish in tasca. Mica poco per un sedicenne che frequenta un istituto cittadino insieme a tanti altri ragazzi. Molti dei quali, probabilmente, con il suo arresto hanno perso il loro «pusher di fiducia».
Era questo il dubbio che da qualche tempo preoccupava fortemente il preside dell’istituto professionale «Cesare Correnti» di via Alcuino, in zona Sempione. La possibilità, peraltro per niente remota, che il ragazzo - nato in Italia da genitori di origine nordafricana - potesse diventare un vero problema per gli allievi dell’istituto. Così l’insegnante ha avvertito i poliziotti del commissariato «Sempione» che sono andati a scuola a controllare il ragazzo. E non l’hanno arrestato in flagranza, mentre spacciava. Tuttavia, il quantitativo di droga che il giovane aveva con sé non lasciava dubbi sulle sue attività extrascolastiche. E se anche ci fossero state delle perplessità, la perquisizione domiciliare e il ritrovamento del classico bilancino di precisione utilizzato dagli spacciatori, le hanno completamente dissolte.
La polizia ci ha tenuto a precisare ieri che il ragazzo proviene da una famiglia normale e che risiede regolarmente in Italia. Padre e madre non hanno mai avuto problemi con la giustizia e anche lo studente non è mai stato coinvolto in situazioni poco chiare.
Purtroppo il fenomeno dei baby spacciatori, che approfittano del fatto di frequentare una scuola superiore per poter spacciare ai compagni (e magari ai loro amici), non è una novità. Lo scorso febbraio i poliziotti del commissariato Centro arrestarono altri due giovanissimi «imprenditori» della droga venduta tra i banchi di scuola in città, adolescenti italiani di 15 e 17 anni. I due ragazzi avevano fatto dello spaccio scolastico un vero e proprio business. Uno era iscritto a un liceo linguistico, l’altro in un istituto alberghiero.

I due minorenni non si limitavano a spacciare occasionalmente piccole quantità di hashish e marijuana ai compagni, ma avevano organizzato una vera e propria attività imprenditoriale con un fatturato da poco meno di 10mila euro al mese: i cui guadagni, circa duemila euro al mese a testa, non venivano spesi in vestiti o locali ma reinvestiti sistematicamente nell’acquisto di stupefacenti. Come dei veri trafficanti.

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