Sindaco di Roma Gianni Alemanno, i romani si chiedono: la capitale è una città insicura?
«La criminalità purtroppo è endogena nella grandi aree metropolitane ma è evidente che qui a Roma si sia superata la soglia di tolleranza. Sono mesi che predico nel deserto chiedendo l’intervento delle autorità preposte perché Roma abbia quella attenzione che merita. La capitale non è una città sostanzialmente insicura e violenta ma sta subendo violenza e, quindi, insicurezza. Certo, con la crisi economica tutte le città italiane ed europee sono più esposte sul versante della sicurezza. Basta vedere i fatti di cronaca di oggi per capire che non è un problema solo romano».
C’è qualcosa che i romani possono fare per essere più sicuri senza chiudersi in casa?
«I romani non devono farsi prendere dalla paura ma continuare a credere nella partecipazione sociale, animando la vita dei quartieri e non facendosi intimidire da nessuna forma di illegalità. Ma, ovviamente, di fronte a forme di criminalità come quelle attuali tutto questo è solo complementare all’azione delle istituzioni, in particolar modo di quelle statali che, secondo la nostra Costituzione, hanno il compito in esclusiva di tutelare l’ordine pubblico. Per quanto mi riguarda si deve sapere che la sicurezza è stata sempre una priorità della mia amministrazione».
E infatti c’è chi la accusa proprio di questo. Walter Veltroni, suo predecessore, ricorda che lei nel 2008 in campagna elettorale andava sui luoghi dei delitti, e parla di «una delle pagine più orrende della politica». Per non parlare dei giornali di sinistra che cavalcano l’onda emotiva per attaccarla. Che cosa risponde?
«Rispondo che sono polemiche volgari non abbinate a nessuna accusa precisa. La sinistra vuole mettermi sul banco degli imputati strumentalizzando questi orrendi episodi ma non indica alcun fatto concreto su cui saremmo stati inadempienti né tantomeno riesce a fare qualche proposta costruttiva per integrare la nostra azione. Insomma, siamo di fronte alla demagogia pura da parte di chi ha governato questa città per decenni sottovalutando il tema della sicurezza, vestendosi da agnello e oggi truccandosi da lupo».
Però l’emergenza c’è. Soprattutto in alcuni quartieri.
«Ci sono quartieri a rischio come sto denunciando ormai da molti mesi e ci sono droga e armi in circolazione. In questi quartieri si deve far sentire in maniera incisiva un’azione preventiva da parte dello Stato. Non siamo ancora a forme di criminalità organizzata di stampo mafioso ma se queste bande territoriali non vengono debellate subito potrebbero alla fine assumere queste caratteristiche».
Com’è cambiata la criminalità urbana da quando governa Roma?
«Nel 2008, quando sono stato eletto sindaco, prevaleva la microcriminalità prodotta dal degrado urbano, dalla marginalità sociale e dai flussi migratori incontrollati. Su quel versante abbiamo ottenuto molti importanti risultati che hanno portato fino al 2010 a una costante riduzione dei reati commessi in città. Poi è subentrato un altro genere di criminalità fatto di bande territoriali in buona parte composte da italiani che non sono ancora criminalità organizzata di stampo mafioso ma rischiano di diventarlo. Se sul primo tipo di emergenza gli enti locali possono fare molto, sul secondo versante la responsabilità dell’azione ricade principalmente sulle forze dello Stato».
Lei parla di misure inadeguate. Che cosa si potrebbe fare di più?
«Bisogna colpire duro i quartieri a rischio, fare perquisizioni a tappeto di natura preventiva, per far emergere tutto il sottobosco, le armi e il traffico di droga da cui originano i reati più efferati. Bisogna superare ogni forma di timidezza e utilizzare quelle leggi che sono state studiate per garantire il controllo del territorio in situazioni di emergenza. Il comitato per l’ordine e la sicurezza di oggi (ieri, ndr), presieduto dal ministro Cancellieri, ha rappresentato un vero e proprio punto di svolta: finalmente c’è la volontà di agire con la massima durezza nei quartieri a rischio».
Tra la drammatizzazione e la sottovalutazione, c’è una terza via?
«La via è quella della fermezza.
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