Avevo promesso di cominciare questa colonna con un argomento leggero, che so i sandali senza calze del ministro Mara Carfagna o le sublimi ballerine del ministro Stefania Prestigiacomo, un po per dire due volte di seguito ministro invece dellintollerabile «ministra», un po per aspettare tutte insieme, donne pubbliche e private, il 30 maggio, quando finalmente potremo correre a vedere «Sex and the city», e sapremo da quali scarpe è obbligatorio, o no, cadere in estate. Insomma, niente lamentele su numero e ruolo delle donne al governo.
Invece mi tocca subito rimpiangere che fra i ministeri pesanti che non ho visto attribuiti a una donna ci sia anche quello della Giustizia. Il nostro sistema certo trarrebbe giovamento da un ministro che non corra a dare interviste alla Bild per sostenere che oltre che bella è anche intelligente, salvo poi lamentarsi che non hanno capito; sarebbe alleviato nella sua truculenta realtà da un altro ministro, sempre una signora, che saluti urbanamente il suo predecessore sconfitto, per tirare fuori le unghie al momento di difendere una legge, come le abbiamo visto fare due legislature fa.
Mi è venuto in mente riflettendo sul modo nel quale, seguendo un qualunque telegiornale, sia sempre una donna, anche quella considerata cattivissima da colleghi e dipendenti, a dire «poverino» oppure «come farà ora la moglie», «quanto soffriranno i figli», ascoltando una notizia di morte, di stupro, di sofferenza. Ancora oggi a loro resta appaltata la misura della ferita, il rito della compassione, ma anche lonere dellazione necessaria a superare il lutto.
Di questa capacità un buon ministro della Giustizia ha bisogno, anche in epoca di misure di sicurezza estreme, anzi di più, perché dobbiamo recuperare la legalità, non perdere lanima, come nel caso giudiziario di Bruno Contrada.
Come mai non può essere scarcerato anche se è malato gravemente, mentre gli arresti domiciliari per motivi di salute furono concessi a Erich Priebke, a Ovidio Bompressi prima della Grazia, e a Silvia Baraldini? Chiedo al ministro della Giustizia, Angelo Alfano, di fare quel che è in suo potere subito, perché non cè tempo.
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