Alitalia, il sindacato alza il tiro: nuovo sciopero

Maroni: «Crisi senza fine. Il governo ha fatto quel che poteva, di più non si può»

Paolo Stefanato

da Milano

Nei mesi scorsi la protesta è stata sorda e strisciante, ma sembrava circoscritta al sindacato «cancellato» dai tavoli di trattativa, il Sult. Ora, improvvisamente, come una frana rovinosa provocata da piccoli smottamenti invisibili, la vicenda Alitalia è riesplosa drammaticamente, rimettendo in discussione la precedente pace raggiunta a fatica e i risultati industriali che appaiono in via di ripresa.
Ieri è stata una giornata di disagi dovuta alle code di assemblee e di blocchi allo sciopero di mercoledì, sconfinata persino in un’occupazione della ferrovia e i sindacati hanno rilanciato mantenendo l’agitazione per la fine settimana e proclamando un nuovo sciopero per lunedì. Dichiarato subito illegittimo dal presidente della commissione di garanzia, Antonio Martone: ma se i lavoratori hanno già sbeffeggiato il ministro dei Trasporti, Pietro Lunardi, che aveva differito lo sciopero di mercoledì, non ci sono dubbi che lunedì la nuova astensione scatterà. Trenitalia, su richiesta del ministero, ha già programmato un rinforzo dei collegamenti Milano-Roma.
La protesta si basa, ufficialmente, contro le condizioni di lavoro ritenute insostenibili, contro l’introduzione di lavoratori precari e per aumenti salariali. Inoltre i dipendenti chiedono all’azienda una discussione sullo stato della compagnia e le sue strategie dopo l’aumento di capitale. Vengono messi in discussione i cosiddetti accordi di Palazzo Chigi, sottoscritti da tutte le sigle. E in particolare la suddivisione della compagnia, già operativa, tra attività di volo e attività di terra. E proprio qui s’innestano due temi: i contrasti sulle cifre del bilancio 2006 e le più profonde ragioni dell’attuale scontro frontale tra azienda e sindacati.
Alitalia ha concentrato i servizi di terra in una società, Az Service, di cui detiene il 51% del capitale lasciando al partner Fintecna, con un’abile compromesso, il 2% in usufrutto. La ragione di tale opera ingegneristica intendeva accontentare il sindacato (che pretendeva la maggioranza in capo ad Alitalia) e contemporaneamente ottenere il deconsolidamento di tale società dal bilancio di gruppo. Ecco spiegate, probabilmente, le contrastanti cifre emerse nei giorni scorsi: il sindacato prevede un «rosso» di 300 milioni per il 2006; il piano Alitalia vede il ritorno all’utile. Forse tutto si spiega nel diverso perimetro dei conti.
La suddivisione in due di Alitalia serve anche a interpretare la battaglia sindacale in atto. Cgil, Cisl Uil, Ugl e Unione Piloti - i sindacati più accesi, quelli che hanno proclamato l’astensione di lunedì - hanno molto peso tra il personale di terra, quello «scorporato», mentre le associazioni professionali Anpac, Avia e Anpav, più Up e Sult, sono sostanzialmente le uniche rappresentanze nell’area di volo. I confederali starebbero dunque combattendo, al di là delle motivazioni formali, una battaglia «di territorio», con l’obiettivo di mantenere consenso anche nella società in cui si sono trovati spiazzati. Ragioni politiche e di potere.
Il governo, dal quale i sindacati sollecitano una convocazione, non sembra per ora intenzionato a entrare nel merito. Del resto, il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha appena affermato pubblicamente la propria fiducia a Giancarlo Cimoli.
Chi è molto critico è il ministro del Lavoro, il leghista Roberto Maroni: quella di Alitalia - dice - è «una crisi senza fine».

«Il governo ha fatto tutto quello che poteva e di più non si può fare. A questo punto - sottolinea - se l’azienda non sa stare sulle proprie gambe, occorre prenderne atto». Ieri in Borsa il titolo ha perso «solo» l’1,4%, dopo il balzo del 6,3% di mercoledì.

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