Gian Micalessin
da Gerusalemme
Nove milioni di dollari perduti. Un intero impianto industriale abbandonato nel deserto di Gerico. Uno scialo simbolo della corruzione e della bancarotta palestinese. A tirarlo fuori dallarchivio dei fallimenti e dei fiaschi governativi è stato domenica scorsa Ahmed al Meghani, il procuratore generale di Gaza impegnato a far luce su dodici anni di corruzione e distrazione di fondi ai vertici dellAnp. In quellenorme capitolo, il cui valore in termini di sprechi documentati supera già i 700 milioni di dollari, Al Meghani sottolinea il caso della Mepco, acronimo di «Middle East Pipe Company Co». Lazienda, fondata nel 1997 con capitali palestinesi e italiani e destinata alla produzione di tubi in vetroresina, diventa, nella conferenza stampa del procuratore palestinese, il simbolo del coinvolgimento di governi e imprenditori italiani nel disastro palestinese.
Il Giornale, dopo aver esaminato il dossier dellinchiesta, aver parlato con il procuratore Al Meghani e aver sentito numerosi protagonisti della vicenda, non ha trovato traccia del coinvolgimento del nostro governo. La Mepco sembra invece licona della cattiva gestione, dellapprossimazione e della disinvoltura con cui ministri e personalità palestinesi hanno alimentato un malaffare che mescola e confonde interessi privati e fondi governativi.
La vicenda Mepco inizia con il contratto siglato il 12 luglio 1997 dallimprenditore italiano Franco La Rosa, presidente della Tvr Tecnologie Vetroresina Spa, e da Maher Al Kurd, allora consigliere economico del presidente Yasser Arafat, e oggi vice ministro dellEconomia palestinese. Alla base del contratto cè unottima idea. «Il governo italiano dellepoca - spiega al telefono Franco La Rosa, oggi presidente della Tvr Engineering -, incoraggiava gli investimenti in quella zona, e noi proponemmo allAutorità Palestinese uno stabilimento per la produzione di grandi tubature in vetroresina. Siamo i detentori di un brevetto unico nel settore, e in Medio Oriente non esistono aziende specializzate in quel genere di produzione. Liniziativa ci sembrava un ottimo affare».
Il lato oscuro di quellottimo affare è linteresse privato di almeno due alte personalità palestinesi. Il primo è Maher al Kurd, lallora consigliere economico di Arafat, che firma il contratto e assume la presidenza della Mepco. Il secondo è Zuhdi Nashashibi, lallora ministro delle Finanze e membro del comitato esecutivo dellOlp, che segue in prima persona la trattativa autorizzando luscita dalle casse palestinesi dei 4 milioni e 20mila dollari necessari a finanziare il 60 per cento delle quote della Mepco. Grazie a questi soldi e a due milioni e 680mila dollari, versati sulla carta dal socio italiano, nasce il 18 febbraio 98 la Mepco, registrata con latto numero 5631239575 al registro delle ditte di Gaza. Quellatto resta lunica tappa chiara nella travagliata storia della azienda.
Il primo dubbio sollevato nel 2005 dalla commissione del Parlamento palestinese che esamina il caso e lo segnala poi alla procura di Gaza riguarda la partecipazione italiana. I due milioni e 680mila dollari dovuti dallazienda di Franco La Rosa in cambio del 40 per cento delle quote non risultano versati. Neppure lAutorità Palestinese paga, però, le quote di maggioranza garantite da Maher Al Kurd. I 4 milioni e passa di dollari usciti il 17 gennaio 1998 da un conto del ministero delle Finanze dellAnp servono in verità a pagare gli impianti per la produzione di tubi in vetroresina spediti via nave dalla Tvr Engineering Srl di Franco La Rosa. «Noi - spiega oggi Franco La Rosa - non abbiamo mai versato i nostri due milioni e 680mila perché dovevamo semplicemente investirli nella costruzione e nellavvio dello stabilimento».
Una versione confermata dal contratto del 22 novembre 1997 con cui la Mepco si impegna a pagare alla Tvr Engineering sei milioni e 697mila dollari, cioè lintero capitale, per lacquisto dei macchinari e la messa in funzione degli impianti. La Mepco è dunque una scatola vuota utilizzata soltanto per far uscire denaro dalle casse del ministro delle Finanze palestinese e convogliarlo allestero.
Ma il peggio deve ancora arrivare. I cinque container pagati agli inizi del gennaio 98 e spediti dalla Tvr nei mesi successivi nel porto israeliano di Ashdod non vengono sdoganati e restano bloccati almeno fino allottobre 1998. «Solo un container è stato sdoganato ed è arrivato a Gaza, ma intanto tutti sembrano essersi dimenticati dellimpianto - leggiamo in una lettera indirizzata ad Arafat il 12 ottobre 1998 da Jirar Nouman Al Kidwa, capo del comitato di controllo dellAnp -. I soci del comitato dinvestimento sono anche soci della compagnia di trasporto che dovrebbe sdoganare e trasportare i container, ma quei signori sembrano desiderare che la terra si apra e ingoi tutta la merce. Abbiamo cercato di capire perché, e ci è stato detto che il primo container contiene solo attrezzature inutilizzabili e di seconda mano».
Laccusa viene ripresa anche nellindagine del Parlamento di Ramallah del 2005, ma Franco La Rosa la contesta con tutte le sue forze. «Prima di spedire quei container e ottenere la lettera di credito - afferma - abbiamo dovuto sottoporli alla certificazione dei Lloyds di Londra, che comprovano la qualità e lo stato dei materiali». Lo scialo è solo allinizio. Quando, finalmente, i container arrivano a Gaza, il comitato dinvestimento incaricato di seguire la costruzione dello stabilimento fa traslocare tutto a Gerico, e il 22 giugno acquista i terreni su cui far sorgere lo stabilimento pagandoli lastronomica cifra di 996mila dollari.
Oggi i cinque container con i macchinari dellazienda mai costruita sono ancora lì, parcheggiati su quei terreni pagati a peso doro. A segnalarne lesistenza restano una misera tenda bianca e un buco di nove milioni di dollari nelle casse dellAutorità Nazionale Palestinese.
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