All’applausometro dell’Udc la sorpresa è Pisapia

Pura coincidenza o segnale politico che sia, ieri le strade di Pier Ferdinando Casini e degli esponenti del Pdl si sono a malapena sfiorate. Il leader dell’Udc è arrivato all’hotel Michelangelo quando il governatore regionale, Roberto Formigoni, stava uscendo. E c’è stato giusto il tempo di una stretta di mano, due pacche sulle spalle, una battuta su camicie colorate e cravatta del Bologna (Casini ha poi partecipato nella sua città al funerale di Lucio Dalla). Formigoni, come il coordinatore regionale del Pdl, Mario Mantovani, e il presidente della Provincia, Guido Podestà, ha trovato giusto il tempo di un saluto, sottraendone un poco al congresso del loro movimento che nelle stesse ore si stava celebrando all’Unione del Commercio.
Invece è stato lungo e cordiale - per qualcuno perfino affettuoso - l’incrocio con il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, che è stato accolto - e salutato - da qualche applauso perfino sorprendente delle prime file, che ha scatenato la curiosità dell’applausometro politico. Diverse le letture. «Questo partito è alternativo alla Lega e competitivo col Pdl» ha detto Alberto Mattioli, ex vicepresidente della Provincia per il Pd, dal quale è uscito in direzione centro. «Pisapia è stato applaudito solo quando ha ammesso che non era venuto a parlare di alleanze» è la tesi del consigliere comunale Manfredi Palmeri. Poi lo stesso Casini lo ha sancito (nonostante l’«anomalia Tabacci», la cui presenza in giunta è definitivamente derubricata a «caso personale»): «Siamo all’opposizione in Comune, in Provincia e in Regione». Del resto Pisapia, quando dal podio ha provato a cercare qualcosa in comune con l’Udc, non ha trovato molto: le proposte sulla città metropolitana, l’amore per la politica. E una vaga, rituale, offerta di «dialogo» per il bene di Milano. Un «patto per Milano». E poi? Il garantismo, ha aggiunto Casini. In realtà Pisapia, uno «zapateriano», è la cosa più lontana che ci possa essere, oggi, dalla pancia del partito. Ma la dirigenza centrista lo coccola soprattutto per un ragione che lui stesso ha menzionato, scusandosi per «l’immodestia»: «Se c’è Monti, se è successo quel che è successo, è grazie a Milano». «Potremmo anche dire il contrario - puntualizzava in seguito un esponente terzopolista poco incline a sinistra - cioè se c’è Pisapia è perché noi siamo usciti dallo schema bipolare e dal centrodestra. La sua vittoria è stata possibile perché noi abbiamo preso il 6% e molti moderati sono passati direttamente a lui». Insomma, alleati in funzione anti-centrodestra, per poi dividersi. Dunque se l’anima dell’Udc è moderata e spesso conservatrice, l’apparato del partito oggi non sembra volere un’alleanza elettorale di centrodestra, e Casini ieri ha escluso anche, in modo risoluto, possibili ingressi con allargamenti nelle giunte locali, arrivando perfino a un accenno di autocritica sulle alleanze variabili («siamo stati un po’ spregiudicati»). Terzo polo per rompere il bipolarismo, dunque, a costo - lo ha ripetuto - di rinunciare a consiglieri comunali e assessori. E a costo di far vincere la sinistra, presentandosi alle elezioni non solo come alternativi alla sinistra e alla Lega ma anche come competitivi rispetto agli «amici che sono con noi nel Partito popolare europeo».

Per tradurre in pratica questa linea è stato acclamato segretario un assessore provinciale varesino - che però governa con Lega e Pdl - Christian Campiotti. E per questo in dieci Comuni su 13 nel Milanese sarà corsa solitaria alle amministrative.

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