Economia

All’asta i gioielli non strategici

In tempi di crisi o si aumenta il capitale chiedendo liquidità al mercato o si mettono all’asta società controllate e i cosiddetti asset non strategici per concentrarsi sul business di riferimento. Tra quelle aziende che scelgono quest’ultima strada c’è chi partecipa ai saldi di fine stagione e chi invece riesce a concludere ottimi affari. Come Telecom che ieri ha portato a casa ben 53 milioni di euro grazie alla cessione di Loquendo all’americana Nuance. Il gruppo presieduto da Franco Bernabé ha venduto il suo gioiellino hi-tech tra i leader nel settore delle tecnologie di riconoscimento e sintesi vocale.
Fondata nel 2001 come spin-off del comparto di tecnologie vocali dei laboratori di ricerca di Telecom Italia, Loquendo è diventata un’azienda controllata al 100% dalla casa madre ma autonoma dal punto di vista operativo con circa 100 dipendenti, 500 clienti in cinquanta Paesi, un fatturato annuo di 15 milioni e utili crescenti dal 2004. Tutt’altro che un ramo secco, quindi. Tanto che il gruppo di tlc è riuscito a strappare agli americani un valore pari a oltre 25 volte l’Ebitda (il margine operativo lordo) del 2010 (pari a circa 2 milioni di euro).
Perché vendere un asset comunque produttivo e in salute? L’operazione, sottolinea in una nota la società, «si inserisce nel processo di razionalizzazione del portafoglio delle partecipazioni di Telecom Italia e di focalizzazione nel core business». Nuance Communication, precisa inoltre il comunicato, «ha assunto un impegno contrattuale a mantenere la sede della società nella città di Torino, per creare un centro di eccellenza nella ricerca e nello sviluppo di soluzioni per le tecnologie vocali a livello mondiale, rafforzando la collaborazione con le Università Italiane».
Mentre Telecom può festeggiare l’affare, altri big di Piazza Affari sono al lavoro per fare cassa con i piani di dismissioni resi più complicati dalla crisi economica. Il 29 agosto Fondiaria Sai pubblicherà i risultati della semestrale, la prima dopo il corposo ricorso al mercato, e il carnet di vendite è nutrito, ma per ora non si vedono potenziali acquirenti. Alcuni dossier sono più urgenti, come Ata Hotel, mentre meno impellente, al momento, è la vendita della Marina di Loano. In autunno inoltre potrebbe trovare sistemazione la partita Igli, tramite la ridefinizione delle quote azionarie e l’uscita di FonSai.
Sul fronte bancario, invece, è stata finora data la precedenza ai riassetti organizzativi interni. Intesa Sanpaolo ha, per esempio, confermato il progetto di riorganizzazione e accorpamento delle controllate nel centro Italia. Una semplificazione che interessa 500 filiali in Umbria, Marche e Lazio e che dovrebbe comportare la riduzione da 22 a 15 delle controllate della divisione Banca dei Territori. Un punto di domanda per il futuro del sistema creditizio resta infatti quello del funding e di quanto sia sostenibile il modello italiano di banca. Morgan Stanley, ad esempio, ritiene che il modello vada «rivisto» e si aspetta che ci sia un incremento delle operazioni di merger & acquisition così come di razionalizzazione degli sportelli.

I primi segnali in questa direzione sono arrivati dai piani industriali di Banca Popolare di Milano e del Banco Popolare, ma secondo gli esperti del settore una spinta maggiore arriverà nel prossimo futuro perché si creino gruppi bancari con una maggiore solidità patrimoniale e una più razionale presenza sul territorio.

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