Non di solo «Sei Nazioni» vive il cultore della palla ovale. Che pochi giorni fa sè appassionato, comera ovvio, per le giocate di Troncon e dei fratelli Bergamasco, per il blitz della banda-Berbizier ottenuto in Gran Bretagna e perfino per aver cullato il sogno di vincere per la prima volta il più storico trofeo del vecchio continente. A Roma per qualche giorno si è respirato un clima festoso grazie allinvasione pacifica di migliaia di tifosi prima dal Galles e successivamente dallIrlanda. Il rugby, insomma, ha vissuto un periodo doro.
Adesso, tornati con i piedi per terra, gli appassionati affidano le sensazioni di sportivi «decoubertiniani» agli ottanta minuti di partite vissute ai bordi di terreni di gioco dove la scenografia non ricorda certo gli spalti del Flaminio, ma che vengono comunque vissuti con pathos e intensità agonistiche per certi versi paragonabili al grande rugby.
Roma e la sua provincia offrono istantanee perfette di quest«anima» rugbystica, con atleti che vivono un sacrificio dietro laltro pur di non perdere neanche un allenamento.
È il caso, ad esempio, di quelli dellAccademia Rugby Roma, un gruppo di ragazzi che potremmo tranquillamente definire gli «All blacks de noantri» per i risultati ottenuti fino ieri, vigilia della sestultima giornata di campionato: 72 punti conquistati nel girone D della serie B, undici lunghezze di vantaggio sui primi inseguitori (il Colleferro), lultima gara casalinga vinta 73 a 5 davanti alla Polisportiva rugby Abruzzo.
Merito di una squadra agguerrita, di una dirigenza capace di disegnare un progetto interessante e di elementi in grado di assecondare un piano di lavoro nato quando la squadra era in serie C. Fra questi Roberto Gentile, allenatore di cinquantanni, trentasette dei quali trascorsi puntando verso una meta.
«Ho indossato la maglia della Rugby Roma e sono andato a giocare a Reggio Calabria», spiega Gentile, che però sposta subito i riflettori della chiacchierata sui suoi ragazzi: «Il nostro obiettivo dichiarato è la serie A, mancano poche partite e siamo sulla strada buona per raggiungere i playoff».
Già, perché va detto che la serie B del rugby differisce da quella del calcio, dove la prima della classifica sale direttamente nella massima categoria. Qui è diverso. «Le prime due del nostro girone incontreranno la prima e la seconda del raggruppamento veneto e non saranno certo sfide abbordabili, le formazioni di quella zona sono tutte agguerrite».
Ma i leader del girone D hanno prodotto buon rugby finora e il tecnico romano, che allena da dieci anni ed è alla quarta stagione con lAccademia, è convinto del valore dei suoi. «Cè un progetto da portare avanti realizzato per far crescere il gruppo e nel contempo per offrire una spinta al movimento rugbystico».
Che ha bisogno di uscire fuori dal volontariato: «Questo è uno sport che per anni è andato avanti grazie a persone volenterose, gente che gestiva in maniera amatoriale un po tutto, dallo spogliatoio ai rapporti con gli sponsor. Ma cè bisogno di professionisti, magari prendendoli in prestito dagli altri sport».
«Perché questo sport - continua Gentile - in molti casi non si ritrova con le strutture adatte». Campi e attrezzature sono inadeguati e, come spiega lallenatore, cè da sperare che «i buoni risultati del Sei Nazioni non creino un effetto boomerang, nel senso che bisognerà annotare i lati positivi di quel che è stato il torneo senza cercare di fare il passo più lungo della gamba per cercare miglioramenti troppo frettolosi».
Gentile, insomma, cresce i suoi sui campi dellAcqua Acetosa seguendo di pari passo i risultati dellAccademia e quelli del movimento rugbystico nazionale. Perché chi ama questo sport non vuole affidarsi alla casualità e pretende il massimo sempre. Il rugby, in Italia, non è solo il Sei Nazioni.
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