Ma all’intellettuale italiano il bello non piace

Le polemiche politiche intorno alla Fiera del Libro di Torino hanno un po’ fatto passare in secondo piano il tema che quest’anno la Fiera si è scelto. «Ci salverà la bellezza». C’è di che rallegrarsi. Sulla bellezza ultimamente si stanno gettando proprio tutti. Ma in che modo?
Gianni Vattimo scrive per Tuttolibri un pezzo sulla bellezza inanellando gentili banalità, sino a prendere in considerazione quella irrimediabile ingiustizia di natura per cui qualcuno nasce bello e qualcuno no. Così il tema è depotenziato, e si disfa in una melassa esistenziale. Dal momento che la bellezza non salva il mondo, almeno la bellezza del partner ci salverà la serata? Umberto Eco ha dedicato di recente un volume intero alla bellezza. Ma subito dopo si è affrettato a dedicarne uno alla bruttezza. Come dire: questa o quella per me pari sono. Vero monumento al relativismo privo di passione della verità.
La bellezza, un concetto screditato nell’estetica di tutto il Novecento, viene oggi rispolverata come qualcosa di neutro, di massificato, di puramente commerciale. Una specie di chirurgia plastica sulle rughe di una cultura invecchiata e inerte. Tanto che ne può parlare anche il più grosso tra i giovani critici contemporanei, Andrea Cortellessa, che ha a che fare con la bellezza come io ne ho con la Federal Reserve. Per dovere di cronaca e di onestà intellettuale, dovrei ricordare che i tentativi anticipatori di riproporre una rivisitazione della bellezza, sul finire del secolo scorso, furono osteggiati nei modi più ambigui. Penso al Mitomodernismo, al generoso tentativo di rileggere il mondo sotto la luce della bellezza e del mito fatto da Zecchi, da Kemeny e da chi scrive. Ma penso ancor più a un fatto che mi colpì per la sua enormità: quando un gigante come Giovanni Paolo II espresse la sua idea dell’arte proprio in questa direzione, riaffermando la potenza salvifica della bellezza, tutti i giornali del mondo gli dedicarono largo spazio, fuorché quelli italiani.


Forse perché nei gangli vitali della comunicazione in Italia sono insediati dei vecchi arnesi nemici della forza dello spirito, appagati in un loro nichilismo straccione e gossiparo. Del declino del sistema Italia, nessuno se ne è mai accorto, sono responsabili soprattutto loro.

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