Giacca aperta, camicia slacciata, barcollante per il caldo, Khaled Allam, mi viene incontro e saliamo nel suo ufficio di neo deputato della Margherita. Uno come lui cresciuto in Algeria e temprato dal sole africano dovrebbe sopportare meglio i 35 gradi di Roma, osservo tra me. Invece, sbuffa e soffre. Arrivati al piano, si aggiunge l'affanno per la stanza. Gliel'hanno assegnata da poco e non la ritrova più. Giriamo randagi per i corridoi, finché una commessa ci intercetta e conduce a destinazione. L'ufficio è deliziosamente gelido per l'aria condizionata. «Può fare male. Meglio abbassarla», dice saggia l'addetta e comincia a manovrare. «Lasci così», supplica Allam, mentre si china per depositare a terra le due sacche di libri che ha con sé. Si rialza, grande e grosso, toglie la giacca, mi fa segno di fare altrettanto e siede spossato.
«Io vivo a Trieste dove c'è sempre un bel venticello», dice con netto accento francese. Chiarito il mistero: è un algerino asburgico, ormai intollerante al caldo.
«Che ci fa a Trieste?».
«Insegno Storia dei Paesi musulmani all'università», dice e si riassetta i capelli elettrizzati. Ha grandi occhi stupefatti e un pizzetto sale e pepe da emiro.
«Da 24 anni lei vive in Italia e da 16 è cittadino italiano. Perché ha lasciato l'Algeria?», chiedo.
«L'ho lasciata ai prodromi della guerra civile. Era il '79 o l'80, non ricordo».
«Aveva 24-25 anni, all'epoca», calcolo.
«Laureato in Legge, frequentavo l'Ena (Ecole nationale dadministration, ndr) algerino per entrare in diplomazia, come uno zio ambasciatore. Ma l'anno del concorso, ci fu una battaglia feroce tra fondamentalisti e progressisti. Gettarono dell'acido muriatico sulle gambe di un'amica perché portava le gonne».
«E lei?»
«Il fondamentalismo colpiva alla radice la mia idea dell'Islam. Decisi di capire meglio la sua natura. Ma, per farlo, ci voleva distanza e ho lasciato l'Algeria. Una scelta deliberata».
«Anche a giudicare dal suo accento, la Francia era il suo naturale approdo europeo», osservo.
«Vero. Sono bilingue. Ma su di me pesava la colonizzazione francese dell'Algeria. Avevo bisogno di un Paese neutro, però mediterraneo. Così, ho scelto l'Italia».
«Ai tempi della colonizzazione, lei era bambino. In che senso le pesa?», chiedo.
«Amo la Francia, ma è viva in me la questione del perdono per l'oppressione. Su questo, sto scrivendo un romanzo che uscirà tra due anni da Rizzoli. È la storia della mia famiglia».
«Sua madre è siriana. Come avere una madre svedese per un italiano o il mondo arabo è un tutt'uno?».
«Gli arabi sentono di appartenere a un'unica koiné linguistica e culturale. Un'identità profonda che occulta le differenze che ci sono da un Paese all'altro».
«Pure gli europei, nella diversità, hanno un sostrato comune».
«Il sentimento di europeità è meno forte di quello tra arabi».
«In una partita di calcio tra Algeria e Italia, per chi tiene?».
«Per l'Italia, anche se non c'è Zidane», ride.
«Zidane è algerino?».
«Sì. Ma berbero, non arabo».
«Si sente più a suo agio in Europa che nel mondo islamico?».
«Navigo tra le due culture. Essendo anche musicista - suono il flauto traverso -, mi sono avvicinato all'Europa con la musica. Privato di una delle due culture, vivrei amputato».
«Come si trova in Italia?».
«Non per suonare la trombetta, ma vivere in Italia è un privilegio. Per l'arte, la capacità inventiva, la bellezza che non ha eguali con altri Paesi. Quando guardi le chiese, i quadri, resti stupefatto dalle capacità del genio umano. L'Italia però, mi fa anche una gran rabbia», dice con uno scatto della manona.
«Perché?».
«Potrebbe andare a cento, ma funziona a quaranta. Il rifiuto della modernità è il suo problema».
«La imbarazza essere musulmano in Europa, in questi tempi di diffidenza verso l'Islam?».
«Dopo l'11 settembre, il mondo musulmano vive a disagio. Per me, è una sofferenza interiore. Direi, una rabbia. Verso l'esterno per non essere capito e verso la nostra comunità che potrebbe essere ben altro».
«Cioè?».
«L'Islam condivide i principi universali della convivenza. Ma oggi lo ha dimenticato. Per me, essere in Parlamento è anche dimostrare ai nostri giovani che esiste un Islam democratico che ha gli stessi valori occidentali e che ciò non lo diminuisce. Anzi».
«Lei manifesta questo islamismo aperto anche nei suoi articoli su Repubblica. Mai avuto guai?».
«Ho avuto minacce, come tutti quelli di noi che si espongono».
«Lei è religioso?».
«Sì. Sono credente», dice senza affettazione, senza gesti rituali, né inchini alla Mecca. È una fatto interno suo, di Khaled Allam, già collaboratore di Avvenire, quotidiano della Cei, e di Nigrizia, rivista dei missionari.
Lei ha criticato la Costituzione Ue perché tace le radici giudeo-cristiane.
«Un occultamento che resta un mistero. Basta guardarsi intorno per percepire le radici religiose. Diritto, musica, arte, tutto scaturisce dal cristianesimo. Da Bach a Raffaello. Nascondere il cristianesimo, è nascondere la bellezza della civiltà europea».
Tra le ragioni dell'esclusione, il possibile ingresso di 80 milioni di musulmani turchi nell'Ue.
«L'ingresso della Turchia può migliorare i rapporti tra Islam e Occidente e creare un Islam europeo. Ma nulla si ottiene negando le proprie radici. Per dialogare, bisogna sapere da dove si viene. E l'Europa viene dal cristianesimo».
Lei ha definito «pertinente» l'idea Usa di portare la democrazia in Irak.
«Lo confermo. Gli americani hanno il merito di avere posto il problema della democrazia nell'Islam. È la grande questione dei prossimi 50 anni. Il Novecento è servito a passare dal Califfato alle nazioni arabe. Ma ne sono scaturiti regimi autoritari che ignorano i diritti umani. Con la guerra, gli Usa hanno posto il problema democratico».
Perciò, è per la guerra?
«Sul metodo, le opinioni sono diverse. Chi è per la guerra, chi per il convincimento. Nessuno ha una riposta definitiva. Vedendo l'attuale situazione, i più sono contro la guerra».
Però, se la guerra fosse stata più fortunata?
«Forse, la risposta sarebbe diversa. Tra gli arabi, c'è chi muore in guerra e chi combattendo per la democrazia».
Morte a Saddam?
«Sono contrario per principio alla pena di morte. Inoltre, Saddam diventerebbe un simbolo, rafforzando l'idea di martirio».
Gli attentati in Irak sono terrorismo o resistenza?
«Chi uccide decine di civili, non può che essere terrorista. È un principio etico che seppellisce tutti i distinguo capziosi».
Gli integralisti che in Italia arruolano kamikaze non sono considerati dai giudici terroristi ma «forze armate diverse».
«Non condivido questo modo di pensare».
L'Italia fa bene a ritirare i soldati da Nassirya?
«Sì, se non danneggia gli iracheni e trova altri modi di collaborazione. Il ritiro potrebbe spingere gli iracheni a cercare da soli le ragioni di vivere insieme».
I palestinesi sono vittime di Israele o gli artefici dei loro guai?
«Sono vittime della storia del Novecento e delle loro lotte interne. Ma l'abbandono del terrorismo è la condizione base per la pace e per la creazione di uno Stato palestinese».
Il presidente iraniano, Ahmadinejad, è l'Hitler del XXI secolo?
«Lasciamo i paragoni, ma i suoi slogan ci riportano agli anni Trenta».
Lei debuttò tra i Verdi, poi è passato alla Margherita. Le è indigesto Pecoraro Scanio o ha un debole per Rutelli?
«I Verdi sono stati i primi a occuparsi di integrazione degli stranieri, ma senza trovare una prospettiva politica. Di Rutelli mi colpisce l'umanità e il tentativo, in un mondo di incertezze, di cercare punti fermi».
Che vuole fare alla Camera come deputato arabo-musulmano?
«Favorire l'integrazione, agire sulla Consulta islamica. Nel 2025, il 29 per cento della popolazione italiana sarà di origine emigrante. Bisogna integrare, conservando però l'identità e la coesione della società italiana».
Che idea ha del suo omologo del Corsera, Magdi Allam?
«Abbiamo entrambi l'idea di un Islam democratico, ma metodi diversi. Io sono, forse, più paziente e più attento alle sensibilità culturali islamiche. Lui, troppo tagliato con l'accetta».
Lei ha scelto di militare nella sinistra...
«Centro sinistra!».
... Cosa la tiene lontano dalla destra?
«La Lega».
Come giudica il filoisraelismo di Gianfranco Fini?
«Un filosofo direbbe che ha fatto una rottura epistemologica. Ha avuto l'intuizione storica che bisognava azzerare una posizione e ripartire. Un grande merito. Credo alla sua sincerità, mai pensato fosse opportunismo».
Che pensa del Cavaliere?
«Molto simpatico, ma non è riuscito a fare quel che voleva».
In che cosa trova migliore - se lo trova - Prodi?
«Ha più consapevolezza dei rapporti tra l'Italia e il mondo globalizzato. Nel Mediterraneo e con le nuove potenze, Cina, India, Brasile. L'Italia deve ritrovare la dinamicità che ebbe negli anni Ottanta di Craxi e De Mita. Mi preoccupo quando vedo che duecento studenti si iscrivono a Scienze della Comunicazione e solo dieci a Matematica».
Il politico musulmano che cammina sulla strada giusta?
«I più coraggiosi e riformisti mi sembrano i re del Marocco e di Giordania. Anche l'Algeria tenta grandi riforme economiche».
Quale è la migliore decisione che ha preso nella sua vita?
«Stabilirmi in Italia».
Perché?
«L'Italia è il Paese della bellezza diffusa».
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