Allarme Balcani: fallita la conferenza sul Kosovo

Timori per il ritorno delle violenze anche in Bosnia

I negoziati fra serbi e albanesi, sul futuro del Kosovo, sono falliti. Il neoeletto Parlamento di Pristina è pronto a dichiarare l’indipendenza della provincia ribelle, ma il governo di Belgrado ha già fatto sapere che «l’annullerà». Sia russi che americani temono che il braccio di ferro sull’indipendenza del Kosovo torni a infiammare i Balcani. Non a caso il ministero della Difesa tedesco ha già inviato 500 soldati di rinforzo alle sue truppe dispiegate nella parte meridionale della provincia ribelle.
Gli ultimi tre giorni di serrate trattative fra serbi e albanesi nella cittadina austriaca di Baden si sono conclusi ieri con un nulla di fatto. I rappresentanti della maggioranza albanese, il 90% della popolazione kosovara, vogliono l’indipendenza a tutti i costi. I serbi sarebbero disposti a concedere una larga autonomia, oppure uno status simile a quello di Hong Kong. Il Kosovo è da otto anni un protettorato dell’Onu e formalmente fa ancora parte della Serbia. Subito dopo il fallimento dei negoziati il presidente kosovaro Fatmir Sejdiu ha dichiarato che l’indipendenza del Kosovo «arriverà molto velocemente», senza indicare date precise. Al suo fianco c’era Hashim Thaqi, il vincitore delle recenti elezioni parlamentari, premier in pectore del Kosovo, ex capo della guerriglia e uno dei principali sostenitori dell’indipendenza subito.
La troika negoziale composta dall’Unione europea, la Russia e gli Stati Uniti visiterà ancora una volta Belgrado e Pristina il 3 dicembre, ma entro il 10 dovranno presentare la relazione finale sullo status del Kosovo al segretario generale dell’Onu. Subito dopo il Parlamento kosovaro è pronto a dichiarare l’indipendenza. Non è escluso che i parlamentari attenderanno fino a metà gennaio per dar tempo a europei e americani di ammorbidire il secco niet della Russia, che spalleggia i serbi. L’indipendenza, però, è inevitabile e verrà riconosciuta dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra. Probabilmente seguiranno a ruota altri Paesi europei come la Germania e l’Italia. Per cercare di compattare l’Unione europea è stata annunciata ieri una riunione straordinaria dei ministri degli Esteri dell’Ue.
Mosca si rifiuta di pensare che il distacco da Belgrado sia l’unica via d’uscita e il ministro degli Esteri Sergei Lavrov ha definito la situazione «molto allarmante». Da Belgrado il premier serbo Vojislav Kostunica e il presidente Boris Tadic hanno già fatto sapere che dichiareranno nulla ogni proclamazione unilaterale di indipendenza. Tadic ha ammonito le potenze internazionali sottolineando che un’iniziativa unilaterale non destabilizzerà solo la Serbia, ma l'intera regione. Lo stesso Kostunica si recherà al Palazzo di Vetro il 19 dicembre, quando il Consiglio di sicurezza dell’Onu discuterà dello status del Kosovo. Secondo il mediatore americano Frank Wiesner «c'è in gioco la pace nei Balcani». Il riferimento non è solo agli scontri fra maggioranza albanese e minoranza serba che potrebbero scoppiare in Kosovo, ma al riflesso negativo sulla Bosnia. A Sarajevo i serbo-bosniaci sarebbero tentati dalla strada della secessione per unirsi a Belgrado. In Macedonia, confinante con il Kosovo, gli estremisti albanesi sono pronti a riprendere le armi. L’Armata nazionale albanese (Ana), messa fuori legge dall’Onu nel 2003, sta accumulando armi nel nord della Macedonia per dar man forte ai cugini kosovari. La costola dell’Ana in Kosovo è già apparsa al confine con la Serbia con decine di “uomini in nero”. Guerriglieri mascherati, armati fino ai denti che portano uniformi completamente nere.
Dall’altra parte della barricata lanciano proclami bellicosi i fanatici della Guardia di re Lazar, un movimento paramilitare serbo, che in caso d’indipendenza si dice pronto a «bombardare Pristina».

A parte le sparate il problema è che i serbi fuggiranno dalle enclave più piccole e si arroccheranno in quelle più difendibili, dove sono già stati infiltrati agenti speciali di Belgrado. Lo scontro più duro sarà attorno alla parte nord della città di Mitrovica, abitata quasi completamente da serbi, che non riconosceranno mai l’indipendenza del Kosovo.
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