Politica

Allarme dei ginecologi: manca personale nei punti nascita

La denuncia parte da ginecologi e ostetrici ospedalieri che hanno manifestato la loro preoccupazione al ministro della Salute, Ferruccio Fazio. I parti diminuiscono ma aumentano i fattori di rischio per l'eta avanzata in cui si affronta la prima gravidanza

In tutta Italia i reparti di maternità operano sotto organico. Non solo nelle regioni meridionali ma anche in Lombardia si registrano casi di punti nascita che vivono situazioni di grave carenza di personale, persino con solo tre medici oltre il responsabile. La denuncia parte dal presidente Fesmed, la (Federazione Sindacale di Medici Dirigenti)Carmine Gigli, e dal segretario nazionale Aogoi (l'Associazione ginecologi e ostetrici degli ospedali), Antonio Chiantera che hanno manifestato la loro preoccupazione al ministro della Salute, Ferruccio Fazio, a nome degli ostetrici-ginecologi italiani, per la pesante campagna mediatica che è stata condotta contro gli operatori dei punti nascita e che ha creato sconforto fra i professionisti e un preoccupante disorientamento nelle donne in gravidanza. Il ministro ha detto di essere pronto a portare alla Conferenza Stato-Regioni un documento che contiene fra l'altro i requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi per la riorganizzazione dei punti nascita e delle unità operative di pediatria/neonatologia e Terapie intensive neonatali.
Dopo un'estate caldissima dal punto di vista della cronaca per i reparti maternità della sanità pubblica gli addetti ai lavori hanno sottolineato la necessità di una complessiva riorganizzazione della rete. Non è detto che servano più soldi, ma gli esperti chiedono riforme e una Authority nazionale che elabori le linee guida e le faccia applicare
Occorre, dicono gli esperti, concentrare i punti-nascita, assicurando la presenza 24 ore su 24 di una guardia ostetrica, di un neonatologo e di un anestesista che possa provvedere anche a un'eventuale anestesia epidurale. Necessario anche un servizio di diagnostica per immagini, un laboratorio d'urgenza ed emotrasfusionale sempre operativo e un trasporto d'emergenza per madri e neonati in centri di specializzazione superiore nel caso se ne presenti la necessità. È quello che i ginecologi italiani chiedono per una riforma del sistema materno-infantile del nostro Paese. Una rete concepita negli anni Sessanta. Allora le nascite erano molte di più, un milione e duecentomila l'anno, mentre oggi sono meno della metà. Nel 2009 sono state infatti 568.857, 7.802 in meno rispetto al 2008. Ma è aumentata la complessità dell'evento, a causa soprattutto dell'età sempre più elevata alla gravidanza: quella media al primo parto è 34 anni; e le mamme over 40 nel 2008 sono state 32 mila (erano 20 mila in meno nel 1995). Non solo: i Drg (cioè i rimborsi che il Servizio sanitario eroga alle strutture per le prestazioni eseguite) ginecologici sono sottostimati, basti pensare che un parto spontaneo vale meno di un'appendicectomia non complicata.
Nonostante ciò, il nostro Paese è fra i migliori al mondo: la mortalità infantile è del 3,3 per mille, quella neonatale del 2,35 per mille (è il 5,3 in Gran Bretagna, 6,7 negli Usa). Su quella neonatale negli ultimi cinque anni, sono stati segnalati in Italia 40 casi e 21 sono stati quelli relativi alla morte materna al parto, a fronte di circa 2 milioni e 800.000 nati.
Un miglioramento comunque è sempre necessario. Da qui, appunto, la richiesta di riorganizzare la rete, riducendo e concentrando il numero dei punti nascita, in modo da poter utilizzare le risorse umane e finanziare liberate per potenziare i centri di secondo e terzo livello.
Una struttura che esegua un numero ridotto di parti è più esposta a commettere errori, soprattutto nel caso si verifichino complicazioni. Quale sia, poi, il numero di parti al di sotto del quale sarebbe bene evitare una certa struttura è materia non del tutto definita, ma pare che 500 possa essere un limite sotto il quale non scendere, anche se 1.000 sembra essere la cifra sulla quale si sta orientando il ministro Fazio. Una caratteristica, negativa, tutta italiane è quella dell'elevato numero dei parti cesarei: con una media nazionale del 38 per cento sul totale siamo largamente primi in Europa.

E in qualche situazione facciamo registrare estremi fino all'85.

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