Per alcuni osservatori, quanto è accaduto negli ultimi giorni nelle Borse mondiali è un déjà vu. Tutto già visto - dicono - nel maggio dello scorso, quando i listini subirono un analogo scrollone. Anche allora si parlò di un brusco assestamento riconducibile in massima parte alle vendite effettuate dagli interpreti principali del cosiddetto carry trade, pratica con cui gli investitori più speculativi prendono a prestito valute a basso costo (in genere yen e franchi svizzeri), per poi utilizzarle in investimenti potenzialmente più remunerativi (e naturalmente anche più rischiosi).
Il fenomeno ha già provocato seri danni in passato (lesempio più emblematico resta il crac nel 98 del Long Term Capital Market, la cui esposizione era pari a 600 volte il capitale), e i ripetuti richiami delle banche centrali negli ultimi mesi sulla rischiosità delle operazioni che prevedono luso massiccio della leva non sono certo apparsi casuali. Tanto più se si considera che il processo di diversificazione delle riserve valutarie, più volte richiamato in particolare da Cina, Russia e dai Paesi aderenti allOpec come un mezzo per contrastare lindebolimento del dollaro, ha portato gli istituti di emissione a canalizzare parte degli stock non solo sul mercato dei cambi, ma anche su quello azionario. Ciò spiegherebbe, commentano gli analisti, i rialzi costanti e senza strappi messi a segno dalle Borse negli ultimi mesi.
Alle banche centrali tocca un nuovo ruolo
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