RomaCol pienone dei giorni migliori (si votava la fiducia sulla Finanziaria), Montecitorio sembrava ieri il Grand Hotel. Del Cln.
Gente che va, gente che viene, gente che si incontra. Pierluigi Bersani che si vede a quattrocchi con Gianfranco Fini nel suo studio dietro laula; poi sempre il leader del Pd a colloquio con Pier Ferdinando Casini dietro una colonna; Antonio Di Pietro solitario che incede, mento avanti, in Transatlantico, lanciando occhiate a destra e a manca; Fini che riunisce i fedelissimi per un pranzo di buon Natale ma smentisce di voler organizzare autonomamente le proprie truppe parlamentari: «Non voglio fare nessuna scissione».
E mentre la fiducia passa liscia come lolio in aula, nei corridoi aleggia la grande paura, continuamente evocata ed esorcizzata: e se il Cavaliere volesse davvero arrivare alle elezioni anticipate? «Io ne sono convinto: per la semplice ragione che mi metto nei suoi panni, e se fossi lui farei di tutto per andarci, nella convinzione di poter solo vincere», ragiona il Pd Peppe Fioroni. Anche davanti al grande Cln, il fronte unito anti-Berlusconi? Lex ministro allarga le braccia, ammettendo il rischio.
Bersani, pubblicamente, dice naturalmente di non temerle affatto: «Se ci si va, siamo pronti». E assicura di non crederci: «Come farebbe il premier a giustificare una cosa del genere? Come farebbe a spiegare che dopo un anno e mezzo, con cento voti di maggioranza, si va a votare di nuovo? Sarebbe difficile, e noi ce la giocheremmo proprio in questo modo». E avverte: «Comunque è Napolitano che decide se si va ad elezioni, mica qualcun altro». Insomma, se Berlusconi ci provasse troverebbe pane per i suoi denti, al Quirinale. Anche il capogruppo Dario Franceschini assicura che «le minacce di elezioni anticipate spaventano soprattutto chi le lancia».
In privato, però, il leader del Pd è preoccupato dal rischio voto, e pronto a molto per evitarlo. A tendere mani a Berlusconi sulle riforme da un lato (con Enrico Letta che spiega: «Ho la sensazione che lo stesso Berlusconi, come già Bersani, si auguri che da quellepisodio drammatico di Milano possa nascere qualcosa di positivo»), ma anche a collaborare a possibili governi alternativi, ovviamente per le riforme, dallaltro. Nel colloquio con Fini di ieri, raccontano ai piani alti del Pd, Bersani ha voluto sondare sulla questione il presidente della Camera. Ha voluto capire le ragioni recondite del duro attacco di martedì sulla Finanziaria, e il fixing del voto anticipato secondo la terza carica dello Stato. Fini, spiega un importante dirigente Pd, non esclude affatto un «tentativo di forzatura» verso la fine anticipata della legislatura. E «piuttosto che essere messo alla porta da Berlusconi, preferisce far vedere che - nel caso - è pronto ad andarsene lui». Magari «con Casini e Rutelli». Senza addolorare troppo il Cavaliere: «Figurarsi se a Berlusconi fa paura avere Fini contro in campagna elettorale: anzi, prima se ne libera e meglio sta». E il Pd è pronto a fare con loro e Di Pietro il nuovo Cln? «Di Pietro è un vuoto a perdere: quei voti che ci farebbe guadagnare li perderemmo doppi dallaltro lato: meglio fare unalleanza omogenea con Casini, e perdere con dignità. Soprattutto, meglio evitare ad ogni costo le elezioni anticipate». Dal fronte rutelliano dellApi, Bruno Tabacci assicura che Fini «è in sofferenza, se non già in uscita».
In chiave di «prove di governo per le riforme» viene letta da molti anche la triangolazione Fini-Violante-Bersani di ieri: il presidente della Camera, durante un incontro pubblico cui era presente il suo predecessore Pd, ha ricordato il lavoro violantiano sulle riforme nella scorsa legislatura e auspicato che, partendo da lì, «il 2010 possa essere lanno in cui dare il via alla riforma della Costituzione», con «il massimo sforzo» per farlo con «la più ampia maggioranza possibile». Poco dopo è arrivata la risposta di Bersani: «Siamo pronti alle riforme, e non alle leggi ad personam». Con Casini, Bersani ha affrontato nodi concreti, come la questione delle alleanze per le regionali.
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