Dichiarazioni dintenti, programmi e manifesti: i futuristi amano definire se stessi, sia pure spesso in negativo: «Noi siamo intraprenditori di demolizioni», scrive Marinetti, quando ha già inaugurato da un lustro lassalto iconoclasta contro le «idee-muri da sfondare» ed esibito il rifiuto come biglietto da visita. Il secolo nuovo impone svolte radicali, il passato è un catasto polveroso di abitudini da archiviare. Lavanguardia non può che essere lideologia della modernità, esaltata dalla metropoli e dalla tecnologia. «Il futurismo si fonda sul completo rinnovamento della sensibilità umana avvenuto per effetto delle grandi scoperte scientifiche»: addio uomo dellOttocento; il telefono, lautomobile, laeroplano, il cinematografo hanno trasformato il senso del mondo.
La velocità, «nuova religione-morale», «consente di abbracciare e di confrontare rapidamente diversi punti della terra». È futurista sapere ciò che avviene in «ogni parte del mondo» e «comunicare con tutti i popoli della terra»: il nazionalista Marinetti che sentenzia «La parola Patria deve prevalere sulla parola Libertà», invita al cosmopolitismo e alla relazione con culture lontane. Altro che razzismo e scontri di civiltà.
«Luomo completamente avariato dalla biblioteca» può liberare limmaginazione senza i fili della logica: intuizione e disordine contro ordine e razionalità. «Usciamo dalla saggezza» e «diamoci in pasto allIgnoto»: esploriamo al di là dei territori della ragione. Quattro secoli dopo Erasmo, la pazzia trova un altro elogio. Per cambiare il mondo, occorrono dosi massicce di sregolatezza. La «sfida alle stelle» lanciata nel 1909 sdogana il gesto liberatorio, legittima il desiderio eversivo di fare tabula rasa di abitudini radicate. La saggezza lascia spazio allentusiasmo, alla gioia visionaria e alla volontà (come scrive G.B. Guerri nella biografia di Marinetti) di «non prendersi sul serio».
Nella vita come nellarte: bando alle tragedie celebrate in «teatri silenziosi». E addio ai versi di Vati troppo pieni di sé: «Facciamo coraggiosamente il brutto in letteratura, e uccidiamo dovunque la solennità! Bisogna sputare ogni giorno sullAltare dellArte!». Con buona pace degli esteti neoclassici, il bello non ha nulla a che vedere con larte, che non aspira alla gloria delleternità: ciò che conta è il suo valore contingente. I posteri non abbiano remore a cestinare: «Noi vogliamo che lopera darte sia bruciata col cadavere del suo autore». Anzi, al mercato che riduce tutto a merce, si contrappongono l«orrore del successo», il «disprezzo del pubblico» e «la voluttà di essere fischiati».
Limportante è che larte vada a braccetto con la vita: costume, morale, politica. Il progetto globale non risparmia nulla, né conosce compromessi: «Il futurismo non ammette né leggi, né codici, né magistrati, né poliziotti, né lenoni, né eunuchi moralisti». Ammette, anzi predica, la sommossa e la rivoluzione, un conflitto permanente, unantitesi costante. Dalla piazza alla trincea: o di qua o di là.
Per combattere meglio, largo ai «giovani audaci»: l«uomo moltiplicato» sognato da Marinetti «non conoscerà la tragedia della vecchiaia», ma consumerà con alcolica esuberanza la propria euforia aggredendo sentimentalismi, bersagliando il «Chiaro di luna» e distraendo il suo sesso «con contatti femminili rapidi e violenti». Gli saranno concesse «tutte le libertà, tranne quelle di essere vigliacco» e precluse le gabbie che inibiscono energie individuali e impulsi collettivi, come la famiglia «carcere» e lamore «veleno corrosivo dellinesauribile energia vitale».
È dunque la libertà la definizione sintetica di un movimento, che cambia le carte sulla tavola della creatività come su quella del vivere comune? Che non si accontenta «di assalire i rami politici, giuridici ed economici dellalbero sociale», ma aspira a «strappare e abbruciare», dello stesso albero, «le più profonde radici», quelle «piantate nel cervello» delluomo? Forse la sua essenza profonda sta nel «rinnovare» e nel «rinnovarsi» nel tempo.
Un principio dove risiedono la «mistica dellazione» e la missione che la prima avanguardia ha lasciato in eredità a tutte le altre: non rinunciare mai a «lanciare bombe intellettuali» e dissacrare anche quando il potere impone feluche e galloni dorati.