Matteo è un medico di 51 anni e sua moglie Monica, 52 anni, è un'operatrice in oratorio. La loro bambina ormai è una ragazza di 22 anni: Linda, originaria del Cile.
Quanti anni aveva quando l'avete adottata?
«Ne aveva 9. E aveva anche un passato importante alle spalle. Nel suo Paese era già stata adottata da una famiglia ma poi restituita a un istituto».
Un doppio abbandono. Secondo lei è possibile cancellare le ferite di un trauma simile?
«È molto difficile, ma noi l'abbiamo aiutata. Cancellare non è la parola giusta. Parlerei piuttosto di perdono».
E come è possibile arrivare al perdono?
«Per un bambino vuol dire saper coltivare l'autostima di sé, fino a poter resettare quello che è successo. Che non significa rimuoverlo. Vuol dire piuttosto trovare la forza per ripartire, per azzerare tutto e ricominciare».
È stata dura all'inizio?
«Dura è dir poco. Le dico solo che volavano i mobili. Lei, bambina, aveva il potere di farci sentire degli stracci. Arrivavamo alla sera esausti, ogni giorno».
Vi rifiutava?
«Non proprio, ci stava mettendo alla prova. Voleva vedere se anche noi, come i genitori adottivi che già aveva avuto, l'avremmo mollata oppure no. E allora faceva la carogna in tutti i modi per capire fin dove saremmo arrivati».
E poi?
«Piano piano le abbiamo fatto capire che sarebbe stata nostra figlia sempre e comunque, qualsiasi cosa potesse capitare. Si chiama amore».
Lei prima ha parlato di autostima. Un bambino abbandonato due volte come può trovarla in sé?
«Noi con Linda abbiamo cercato di costruirgliela, passo passo. Ad esempio, in mezzo a 99 difetti, andavamo a pescare una piccola qualità e lavoravamo su quella, creando situazioni che potessero alimentarla. Le abbiamo fatto capire: tu hai un valore immenso, tu vali».
Ora Linda chi è?
«È una ragazza altruista che dal dolore ha saputo tirar fuori gli aspetti positivi. E fa così in ogni cosa. Ha seguito un corso di professioni socio sanitarie e ora sta pensando se proseguire o meno con gli studi in scienze infermieristiche. È una ragazza aperta al mondo».
Cosa consiglierebbe ai genitori in difficoltà?
«In Africa dicono che per educare un bambino ci voglia un intero villaggio. È così. Non si può pretendere di risolvere tutti i problemi da soli, serve la rete, bisogna imparare a chiedere aiuto. Magari le risposte sono semplici ma in quel momento non le vedi da solo».
A breve Linda avrà la sua vita.
«I genitori devono saper lasciare andare. I figli non sono una nostra proprietà».
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