Chi passeggia nel principale parco di Berlino, il Tiergarten, si imbatte in una gigantesca lastra di bronzo che scende diagonalmente, come una lama, nel fosso di un canale. È il monumento a Rosa Luxemburg, trucidata dai Freikorps durante la fallita rivoluzione spartachista del 1919. Il monumento sorge nel luogo dove fu ritrovato, cinque mesi dopo la morte, il corpo dell'ideologa comunista, poi tumulato nel cimitero di Friedrichsfeld. Circa dieci anni fa l'autenticità dei resti è stata messa in dubbio dal medico legale della Charité, il più antico ospedale di Berlino, il quale ha annunciato ai giornalisti di aver rinvenuto un corpo mummificato senza testa che secondo lui apparterrebbe alla Luxemburg.
A questa vicenda dai tratti horror, ma anche di cupo, visionario allegorismo deve l'intreccio l'ultimo ispiratissimo romanzo di Giuseppe Aloe, Lettere alla moglie di Hagenbach (Rubbettino). Anche qui a ipotizzare che la tomba di Friedrichsfeld contenga in realtà il cadavere di un'anonima prostituta, uccisa dai Corpi Franchi per evitare che l'opinione pubblica rimanesse disgustata dalla brutalità delle mutilazioni inflitte al cadavere della Luxemburg, è un medico tedesco, il dottor Bausch, ma la storia è narrata da un criminologo italiano, Flesherman, cui da poco è stata diagnosticata una forma di demenza senile dalla lenta, imprevedibile evoluzione. Chiamato dal collega affinché lo aiuti a risolvere il cold case, Flesherman vola a Berlino dove si imbatte in un altro mistero: lo scrittore Hagenbach ha fatto perdere le sue tracce dopo aver assurdamente spedito delle lettere alla moglie Dora, che è malata di Alzheimer e giace in fin di vita in un letto d'ospedale.
Materiato in una prosa magnetica, imbattibile quando descrive il paesaggio anche umano («le terrazze vuote mi facevano pensare a lunghe anestesie»), il romanzo di Aloe dispiega un vertiginoso congegno di specchi infranti: il deliquio di Dora riecheggia quello, incipiente, di Flesherman, mentre il corpo decapitato della Luxemburg allude all'universale deriva della Storia.
I cascami dell'Europa novecentesca si affiancano a una serie di sorprendenti reincarnazioni (lo spettro di Thomas Mann diventa una generosa prostituta, lo scarabeo di Kafka un apparecchio acustico...) lasciando intendere che la metafora della demenza, restituendo al romanzo il suo potere profetico, è un buon grimaldello se si vuole scardinare l'ovvio in cui ci ritroviamo a vivere.
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