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Dieci anni dall’impresa di Baumgartner: l’uomo che si tuffò dallo spazio

L’austriaco precipitò da 38.969 metri: partito dalla stratosfera, infranse il muro del suono

Felix si è appena lanciato dalla stratosfera
Felix si è appena lanciato dalla stratosfera

A volte a cinque anni le idee sono già maledettamente nitide. Nel 1974, a Salisburgo, il piccolo Felix scarabocchia il suo futuro su di un foglio. Lo porta alla mamma, che sgrana gli occhi: col pennarello ha tratteggiato lui che si getta da una navicella. La signora Baumgartner ci ride su. Non può sapere che trentotto anni dopo suo figlio lo farà sul serio.

Lui è quel genere di persona che si nutre di adrenalina auto - indotta. La pompa in vena come uno stupefacente vitale, gettandosi da torri da vertigini e fuggendo via prima che la polizia lo acciuffi. Fa lo stuntman e il paracadutista estremo. Il lavoro in ufficio non rientra decisamente nei suoi piani. Però deve studiare, e molto, per cominciare a ritenere anche soltanto pensabile quell’impresa.

A Roswell, nuovo Messico, c’è tutto il silenzio che ti serve per rimpastare i pensieri degli ultimi cinque anni. Quelli che gli sono serviti per preparare il lancio dalla stratosfera, con l’assistenza del team Red Bull. Saltare da un trampolino del genere è un’idea talmente ardita da risultare abrasiva. Le variabili accluse a quel tuffo contro la gigantesca piscina terrestre sono centinaia. Basta cannarne mezza per spedirsi al creatore. Felix conosce i rischi. Sa il dolore che potrebbe procurare in caso di fallimento: il 19 ottobre 2012 - dieci anni fa - sua mamma ha una pozzanghera di lacrime al posto del volto. La sua fidanzata è in iperventilazione. Gli amici di sempre sanno che potrebbe essere l’ultima volta che lo vedono. Eppure Felix sente che, se non fa quel salto - lo ha dichiarato in seguito - si sentirà infelice per sempre.

Non si improvvisa. Compie due prove e vanno piuttosto bene, anche se la distanza non è lontanamente paragonabile. Poi inizia la fatidica ascesa in quella claustrofobica capsula: adesso no, non può più svignarsela. Tre ore compresso lì dentro, una tuta spaziale a ovattarti i pensieri. Quando finalmente si affaccia sul cornicione del mondo, pare avere un ripensamento. Passano trenta lunghissimi secondi prima che si decida. Ad ogni modo il portellone è aperto, non può più tornare dentro.

Quindi si lancia. La discesa è in differita di venti secondi, perché se dovesse morire nel tentativo il mondo non deve vederlo. Su you tube si collegano oltre 2 milioni di persone. L’inizio è confortante, ma poi qualcosa inizia ad incrinarsi: la visiera si appanna in fretta, al punto che Felix non vede più nulla. Pensa ad un guasto elettrico. Chiede si spegnerla e riaccenderla da remoto. Alla base hanno un mancamento: potrebbe non funzionare. Invece riparte. Non era il problema maggiore. Baumgartner sta trafiggendo il cielo come un proiettile. Scende giù per 4 minuti e venti secondi totali, superando ad un certo punto la velocità del suono: 1357,64 km/h. Potrebbe essere troppo da sopportare per un essere umano, pur debitamente bardato. Comincia ad avvitarsi. Pare non avere più il controllo. Se sviene per la pressione, è finita.

Cinque anni di meticolosa preparazione però fanno il loro lavoro. Baumgartner riesce ad aprire il paracadute e plana docilmente sulla terra: è un record assoluto che si incide dentro la storia umana, un allunaggio al contrario, la lucida follia di uno sportivo incendiato. La sera festeggiano tutti al campo base. La mattina dopo fuggirà da lì, contemplerà l’alba dipanarsi in quell’assordante deserto e poi via, ad Albuquerque, per sorbirsi un caffè come un signor nessuno. Alla tv danno il suo lancio a reti unificate. Felix chiude le palpebre e srotola il foglio appallottolato nella mente: lo ha fatto davvero.

Lo sapeva già trentotto anni fa.

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