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Il miracolo di Andy Ruiz, il pugile paffuto che mise al tappeto Joshua

Centoventi kg portati flaccidamente a spasso per il ring, la faccia da timidone, il Messico intero che intona il suo nome

Il miracolo di Andy Ruiz, il pugile paffuto che mise al tappeto Joshua

Da piccolo schiacciava il naso contro le vetrine di dolciumi che costellavano le strade della California. Veniva dal vicino Messico, ma quello era comunque un altro mondo. Un’altra vita. Papà aveva trovato lavoro come muratore e fino a vent’anni lo aveva trascinato con sé al cantiere. Con la mamma, quando veniva sera, spesso rimuginavano sulle fattezze in espansione di Andy - perché è questo il suo nome - ma poi la stanchezza di giornate sfinenti prevaleva sempre. Mica c’era il tempo, per curarsi della disfunzione alimentare di Ruiz Jr.

Poi, però, un giorno lo iscrivono ad una palestra di pugilato. Quando varca la soglia portandosi appresso quell’aspetto pacioccone e molliccio, gli sguardi di scherno si moltiplicano. Eppure, sotto quegli insistenti tessuti adiposi, Andy nasconde una voglia di rivalsa dirompente. Non riesce a smettere di ingozzarsi. Avrebbe bisogno di qualcuno che gli prescriva una ricetta per deglutire la vita senza lievitare. Sul ring però ci sa fare. Non è agile, certo. Non ha chissà quali muscoli. Però sa come incassare e, quando colpisce, in quei pugni ci mette dentro tutta la voglia di rimettersi in pari col destino.

Gli allibratori si grattano comunque la nuca, pensosi. Che senso ha un match del genere? Come mettere un camioncino degli hot dog sulla strada di un bulldozer. Anthony Joshua è un campione fulgido: ha vinto tutti e 22 gli incontri della sua pur breve carriera. Viene dalla Gran Bretagna e sfodera ovunque un fisico statuario: 112 kg fasciati da muscoli guizzanti. Un centrifugato di agilità felina, potenza e capacità tattica. L’antitesi perfetta di Ruiz, che anche adesso - alla soglia dei trent’anni - sguaina un fisico tutt’altro che irreprensibile. Ha continuato a fare il pugile nei pesi massimi e, a dirla tutta, ha messo via un robusto pacchetto di successi: 33 vittorie, di cui 22 per ko. Però il feticismo compulsivo per il cibo non l’ha mai superato. Mai spedito al tappeto con un gancio quel retaggio fanciullesco.

Così anche oggi - che è il 1 giugno 2019 - caracolla verso il ring con tutta la sua flaccida, irrituale, portanza. Tra l’altro non ci dovrebbe neanche essere qui, al Madison Square Garden. Lui è la terza scelta dopo il ritiro forzato di altri due contendenti. Uno sparring partner e nulla più per Joshua, che mette un piede per la prima volta fuori dal Regno e prova a prepararsi al meglio per l’incontro con Wilder, l’unico che sembra capace di insidiarlo.

In palio, comunque, ci sono le corone le Wba, Ibf e Wbo. Andres Ponce Ruiz - perché è questo il suo nome completo - contempla le cinture scintillanti e poi si fissa la pancia e i fianchi che cadono penosamente sui pantaloncini con su scritto “Destroyer”, sintomo che almeno a parole, ci crede. Si aggira sul quadrante, le voci della folla newyorchese che già impastano i pensieri, ostentando una stazza da oltre 120 kg spalmati su 188 cm. Pubblico, commentatori e bookmakers sono tutti allineati: è già un miracolo se durerà più di una ripresa. Joshua lo frantumerà.

E l’incipit non pare smentire chi ha vaticinato una sorte ingloriosa per Andy. Lui tiene la guardia perennemente bassa, come gli ha suggerito il suo allenatore, per evitare di esporsi alla tempesta di pugni aperti del britannico. Che, come da copione, lo spedisce in fretta al tappeto. Ruiz ha le guance rosse, ammaccate. Potrebbe essere già finita qui. Sotto quella corazza morbida, però, l’incendio della rivalsa non si è mai spento.

Si rialza. Va al corpo a corpo senza indugio. Joshua crede di poterlo rimettere giù facile. Invece è Andy a piegarlo, con una combinazione rabbiosa destro - sinistro. Assurdo: il nuovo astro del pugilato mondiale mandato a conoscere il pavimento. Anthony si rialza sorridendo, ma è un riso amaro. Tenta di metterla sull’agilità. Grandina di pugni pesanti come incudini il messicano. Quel fisico extralarge però assorbe i colpi prima che buchino l’anima.

La gente assiste trasecolata ad un match che si trascina fino alla settima ripresa. Andy ha già messo al tappeto Joshua per tre volte. Il pugile favorito è incredulo. Ciondola per il ring nel tentativo estremo di non arrendersi, ma l’ultima sequenza di pugni lo stende. Sinistro doppiato dal destro e pronostici sbriciolati. Anthony sputa il paradenti, restando in ginocchio. Andy solleva il braccio contro il soffitto luminoso del Madison Square Garden. Il più sconvolto di tutti è lui.

Ha fatto accadere l’imponderabile. Come un improbabile vendicatore messicano.

Un gioco di prestigio possibile, in fondo, per chi ha nascosto così a lungo l’anima sotto la pelle.

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