Perde mani e piedi, ma sopravvive alla maratona tra i ghiacci

L'incredibile storia di Roberto Zanda: nel 2018 alla Yukon Artic Ultra, in Canada, perde l'orientamento e si ritrova solo a 50 gradi sotto zero: "Un altro sarebbe morto"

Wikipedia
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Tutto intorno si dispiega una coltre bianca a perdita d'occhio. Punti di riferimento andati. Speranze di cavarsela ridotte ad una percentuale risibile. La neve lo inghiotte fino all'altezza dell'ombelico, perché si è appena capovolto con la sua slitta. Per estrarsi da quella situazione mortale si sfila le muffole, resta a mani e piedi scoperti. Fuori fanno 50 gradi sotto zero. Regolare amministrazione per la Yukon Artic Ultra, la maratona estrema che si tiene tra i ghiacci del Canada ogni anno. Solo che per lui - Roberto Zanda da Cagliari, anni 60 - quelli rischiano di essere gli ultimi istanti della sua carriera sulla terra. Impossibile spuntarla con quelle temperature, senza le adeguate coperture e con il senso dell'orientamento dissolto. Gli arti scoperti iniziano a crepitare come fossero avvolti dalle braci. Per lui sembra davvero finita.

Ma come si è ficcato in una situazione del genere? Zanda è il secondo di due italiani a partecipare alla sfida nel 2018, e si approccia da neofita. Trattasi di 480 km da percorrere a piedi, in bici o in slitta, interamente glassati dal ghiaccio da mattina a sera. Trenta atleti in tutto ai nastri di partenza: tutti ritirati, eccetto un sudafricano che lo precede. Il programma sarebbe quello di colmare un tragitto di 30 km al giorno, trainando uno slittino che ne pesa sessanta. Una prova fisica e mentale oltremodo estenuante. Come se non bastasse, i venti siderali che soffiano dal grande Nord sferzano di continuo i partecipanti, come una mitragliata di lame. Tempo previsto per terminare l'assurda impresa nel terrificante deserto bianco: otto giorni.

Zanda avanza con fiducia. Non si è mai sottoposto ad un test del genere, ma è un ultra maratoneta esperto - anche se ha più spesso vissuto la condizione opposta, il grande caldo - allenato, sicuro di sé. Anche perché il suo soprannome, "Massiccione", rende l'idea di un uomo difficile da scalfire. Roberto ha qualità fisiche che oltrepassano largamente la media umana. Eppure, contro il ruggito stordente di un gelo che non concede tregua, questo non può bastare. Per non smarrirsi in questo balsamo candido e mortifero, l'unica è seguire con rigore scientifico i segnali disseminati lungo il percorso. Solo che il freddo si insinua ovunque, finendo per deteriorare anche i pensieri. Zanda crede di scorgere un segnale luminoso, ma si tratta di un'allucinazione. Lo segue, si avvicina, e cade in un dirupo assieme al suo slittino. Completamente ribaltato.

Zanda con le protesi
Zanda con le protesi, pronto per tornare a correre

Così torniamo all'inizio della storia. Sommerso per metà, ha solo un modo per provare a sfangarla. Si sfila gli scarponi per trarsi fuori, ma fa talmente freddo che i calzini termici restano incollati. Altrettanto succede per i guanti, che gli impediscono di muoversi agilmente. La pelle nuda esposta a quelle temperature insostenibili inizia a bruciare. Il dolore è acuto, disarmante. Zanda sa che quelli sono i primi segnali del congelamento e che, per lui, è praticamente finita. Da solo nel bel mezzo del nulla, con gli arti esposti alle intemperie: non c'è davvero modo di salvarsi. Rimane così, disteso nella neve, preparandosi a una morte dalla quale appare impossibile sottrarsi. Ha addosso un gps, ma le ricerche tardano maledettamente. Lo recuperano soltanto dopo 17 ore, quando pare evidente che l'unica cosa che possa essere rinvenuta sia il suo cadavere. Invece, per il sommo stupore dei (tardivi) soccorritori, Roberto respira ancora.

Gli prestano le prime cure nell'ospedale di Whitehorse, poi lo trasferiscono in Italia, ad Aosta. Dove arriva in condizioni terribili. La sua cartella clinica parla di "congelamento gravissimo". L'equipe medica guidata dal dottor Giardini tenta in ogni modo di salvare il salvabile, ma non c'è nulla da fare. Mani e piedi versano in condizioni di cancrena avanzata e ora c'è pure il rischio di incorrere nella setticemia. L'unica è amputare tutto. Il medico, uscendo dalla sala operatoria, esclama convinto: "Un altro sarebbe morto". Zanda no. Ha pagato un prezzo enorme per inseguire quella sfida, ma è sopravvissuto, molto probabilmente grazie alle sue tracimanti capacità fisiche. Oggi insegna nuoto in una piscina comunale. Un nuovo capitolo di una vita che deve, necessariamente, cambiare rotta.

Anche se non si arrende: da qualche tempo è diventato atleta paralimpico. "In quelle ore - ha raccontato - ho capito che sarei morto congelato. Ho affidato i miei pensieri alla fede e agli affetti. In qualche modo ce l'ho fatta. Sono sereno: la vita non va sempre come vogliamo".

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