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«Altro che bullismo, questi sono veri e propri reati»

Una ragazzata. Sì, è vero gli ha portato via il telefonino ma suvvia era uno scherzo. Oppure. La prendeva in giro ma sono cose che succedono tra ragazzine di quell’età... Signor giudice ma voi magistrati con tutti i reati che ci sono in giro proprio di queste cose vi dovete occupare? Ciro Cascone, magistrato al tribunale dei minori questa cosa qui se l’è sentita ripetere parecchie volte quando si trova davanti «bulli» e genitori. E lui da Pm che fa anche lezione nelle scuole non finisce mai di ripetere «cari ragazzi, il bullismo non esiste». La platea di giovanotti e ragazze sgrana gli occhi, c’è da giurarci. Perché l’altra sera a sgranare gli occhi c’era invece una platea di genitori riuniti alla scuola media Mauri per un ciclo di incontri proprio su quest’argomento al quale sono stati invitati a parlare psicologi, avvocati e giudici. Ultimo tema: «Le conseguenze civili e penali del bullismo». In cattedra il Pm Cascone ha cominciando con quella stessa affermazione: cari genitori e cari insegnanti il bullismo non esiste, esistono i reati. Come dire, il bullismo è una summa di reati. Ingiuria, diffamazione, furto, violenza sessuale, minaccia. Non è per colpa di un generico bullismo che a 14 anni si finisce in Tribunale. Ma per questi reati ben precisi, perché a 14 anni si è acquistata la responsabilità penale, cioè si diventa soggetti alla pena. Tradotto, si va a processo, si viene condannati e ci si rovina la vita perché quei fatti resteranno impressi per sempre nel casellario giudiziario.
Pare una banalità eppure come ribatte più volte il magistrato spesso sotto la parola bullismo ci finisce un po’ di tutto. Invece «le vicende che arrivano davanti a me sono reati». Esempio. Se prendo il telefonino a un compagno, glielo nascondo, dopo un po’ glielo ridò e ci ridiamo su, quello era uno scherzo, magari un po’ spinto ma finisce lì. Ma se io me lo porto via o non glielo rendo quello è furto. Se glielo strappo, è una rapina. Più chiaro di così.
Una mamma alza la mano: «Forse allora meglio non denunciare. Si rischia di rovinare la vita a un ragazzo di appena 14 anni». La mamma fa la mamma. Il magistrato fa il magistrato. «Sa quante mamme vedo in Tribunale che non stanno aiutando i figli a crescere o lo fanno in modo sbagliato?» Non risparmia colpi a genitori e scuola il Pm. «La responsabilità è fatta di conseguenze. Significa rispondere delle proprie azioni e va insegnato. Se quello che faccio non avrà conseguenze imparerò ad essere sempre più sicuro e spavaldo». Cascone racconta di ragazzi che arrivano a 17 anni senza avere minimamente capito cosa sono le regole. «C’è chi a 15 anni torna alle 2 di notte a casa. E i genitori se la dormono tranquillamente. È evidente che quando questi ragazzi arrivano al tribunale dei minori è perché tutto il sistema prima ha fallito, non ha funzionato». La scuola e la famiglia, quindi. La prima «perché ha l’obbligo di segnalare i reati che si verificano a scuola. E quando intendo a scuola s’intende anche sul marciapiede lì davanti». Il magistrato fa notare senza mezzi termini che se la scuola è la prima che ammette il bullismo come una ragazzata si è già persa la sfida all’educazione alla legalità. E la famiglia che come hanno dimostrato più volte i casi cronaca viene poi chiamata a risarcire perché ha la sua «responsabilità» civile. Per legge. Come responsabili sono anche gli insegnanti ai quali il codice civile impone «la vigilanza» anche durante la ricreazione. Il magistrato non cerca consensi quando spiega che lasciare i propri figli su internet è come mettergli in mano una Ferrari senza insegnargli a guidare. «Quanti - punta il dito - si sono messi lì a fianco a spiegare che riprendere i compagni col telefonino e mettere in rete non si può fare?»
Il magistrato risponde alla mamma: «Fare la spia? No.

Si tratta di segnalare un’ingiustizia. Le regole non vanno viste e trasmesse solo come dei divieti ma in positivo. Consentono di fare quello che vogliamo senza avere invasioni dagli altri. Perché una legge non è altro che un valore».

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